Pensioni, la scelta del premier: decido, niente rinvii da vecchia politica

Pensioni, la scelta del premier: decido, niente rinvii da vecchia politica
di Marco Conti
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Lunedì 18 Maggio 2015, 06:35 - Ultimo aggiornamento: 07:52
«Noi non siamo vecchia politica. Quella che rinvia le decisioni per paura di un voto». Però «altro che uomo solo al comando...». Per scucire a Matteo Renzi i due miliardi e spiccioli per rivalutare le pensioni più basse, sono servite due settimane. Non è stato infatti facile convincere il premier, e i consiglieri economici Filippo Taddei e Yoram Gutgeld, che avrebbero dovuto usare i soldi del tesoretto per coprire il buco lasciato in eredità dai governi precedenti.

GLI INVESTITORI

Soprattutto non è stato semplice convincere il Rottamatore che occorreva rispondere con tempestività ad una sentenza in grado, da sola, di far saltare i conti pubblici. Una decisione, quella della Corte Costituzionale, che Renzi non ha ancora compreso e che ritiene ”poggiata” su principi che non tengono conto non solo degli obblighi europei, ma anche di una situazione che vede nel Paese sempre più contrapposte vecchie e nuove generazioni. Ovvero i padri che percepiscono pensioni calcolate con il retributivo e figli, spesso precari, costretti a versare per pagare le pensioni ai più anziani. Questo circuito perverso, il premier pensa di spezzarlo o quanto meno, con l'aiuto del nuovo presidente dell'Inps Tito Boeri, di incrinarlo. Restava però da affrontare il nodo di una sentenza e il decreto che oggi adotterà il consiglio dei ministri servirà per porre fine ad attese e per tranquillizzare Bruxelles e gli investitori europei che da due settimane si interrogavano nuovamente sulla voragine possibile che si sarebbe potuta aprire nei conti dell'Italia.



SOLUZIONE PIÙ CHIARA

Anche stavolta Renzi ci ha messo la faccia e ieri pomeriggio è andato in tv ad annunciare i 500 euro come una tantum per le pensioni più basse mentre a il sottosegretario De Vincenti limava il testo con i tecnici di palazzo Chigi e del Tesoro. Sul tavoli due proposte di decreto. La prima che prevedeva l'erogazione dei 500 euro come una tantum per gli anni arretrati e il rinvio della questione alla legge di stabilità. La seconda, sempre con l'una tantum ma con anche l'indicazione della platea e della percentuale di rivalutazione. Alla fine, per togliere ogni possibile incertezza, si è deciso per la soluzione più chiara per gli investitori e per la Commissione, ma che certamente poco piacerà ai pensionati - specie quelli con i redditi più alti - che da quindici giorni minacciano ricorsi. Oltre cinque milioni di pensionati, colpiti dal blocco delle indicizzazioni, da domani masticheranno amaro e Renzi ha già messo in conto le conseguenze che sul piano elettorale potranno esserci per una scelta del genere. Aspetta però al varco le forze politiche, specie quelle che votarono la riforma Monti-Fornero, che pensano di cavalcare l'ondata di proteste sollecitando il governo a pagare «tutti». Ovvero a mettere sul piatto 19 miliardi di euro. «Una cifra che - sostiene il premier - farebbe sballare il rapporto deficit-pil e che riporterebbe l'Italia sotto il fuoco della speculazione».

Per Renzi non c'è bisogno di evocare la decrescita - felice o meno - per considerare una «illusione» l'idea che ci siano diritti assoluti e irrinunciabili in qualunque contesto e momento. Precari, cassintegrati, più o meno finte partite iva devono per Renzi spingere la politica ad assumere decisioni difficili «senza rinvii elettoralistici». Scontentare un parte dell'elettorato, come accaduto sulla scuola e accadrà da domani per le pensioni, non preoccupa il premier che è convinto di arrivare alle elezioni del 2018 con un progetto-Paese compiuto e sicuramente migliore e più ottimista dell'attuale.



LA FIRMA

Abbandonata la tentazione dello slittamento, Renzi è consapevole di mettere per la prima volta la sua firma sotto un provvedimento che risulterà impopolare a molti dei pensionati e dei sindacati che in massima parte compongono. Ma drenare altre risorse ed impegnarne di future per rimpinguare pensioni che forse mai le nuove generazioni verranno, significa per Renzi venir meno allo spirito con il quale ha imposto il taglio delle retribuzioni sopra i 240 mila euro e reso impossibile doppi incarichi, tripli emolumenti e quadruple pensioni.

Anche se al Nazareno considerano ora in salita la vittoria alle regionali, Renzi ha alla fine seguito le indicazioni del ministro Padoan favorevole ad una definizione rapida dell'intera questione.