Colle e Italicum, Pd ad alta tensione. Fassina accusa Renzi: «Lui sabotò Prodi»

Colle e Italicum, Pd ad alta tensione. Fassina accusa Renzi: «Lui sabotò Prodi»
di Mario Stanganelli
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Venerdì 23 Gennaio 2015, 08:17 - Ultimo aggiornamento: 19:22

ROMA - In un clima già molto teso per la spaccatura tra i senatori dem sull'Italicum, Stefano Fassina ha pensato bene di riaccendere la miccia di una questione sempre pronta ad esplodere all'interno del Pd: la paternità della congiura dei 101 che nel 2013 silurò la candidatura di Prodi al Quirinale.

«Non è un segreto - ha affermato l'ex viceministro - che Matteo Renzi abbia guidato i 101 che bocciarono Romano Prodi.

A differenza di quelli che oggi - ha aggiunto Fassina in vista del voto per il Colle - chiedono disciplina e due anni fa hanno capeggiato i 101, noi siamo persone serie. Nessuno deve temere da noi franchi tiratori». Nonostante la conclusiva promessa lealista, la dichiarazione di Fassina scatenava un'accesa lite nel partito, anche perché l'ex viceministro non aveva rinunciato a difendere il no della minoranza dem all'emendamento chiave dell'Italicum, che ieri ha iniziato lo sprint verso il traguardo del sì conclusivo del Senato in calendario per martedì.

«Accuse che non si possono nemmeno commentare», è la secca reazione della vicesegretaria del Pd Debora Serracchiani, seguita a ruota dal suo omologo al maschile, Lorenzo Guerini: «Una sciocchezza incredibile». Su Twitter fa ricorso a un vecchio adagio per ritorcere l'accusa l'europarlamentare Isabella De Monte: «La prima gallina che canta ha fatto l'uovo». E più ponderatamente replica anche la fedelissima del professore bolognese, Sandra Zampa: «Per il boicottaggio di Prodi non c'è stato un solo capo, erano diversi. Tutte le componenti hanno partecipato, altrimenti non si arrivava a 101. All'epoca Renzi ne aveva solo una cinquantina e non aveva incarichi nel partito». A cercare di prendere le distanze dal fuoco della polemica è Pier Luigi Bersani affermando che «la situazione oggi è molto meglio del 2013. Non la vedo difficile. Ci sono altri protagonisti, quella roba lì dei 101 franchi tiratori - osserva l'ex segretario - non la facciamo più. Per me l'importante è la lealtà, preferisco subire la slealtà che praticarla. Lasciamo perdere le scorie dell'Italicum: il Quirinale è un'altra partita».

SCORIE

Ma le ”scorie dell'Italicum“ sono sembrate, invece, riapparire al Senato dove, sia pur nel quadro di una sostanziale accelerazione verso l'approvazione finale della legge, lo scontro con la minoranza dem si è riacceso quando la sinistra pd ha annunciato che non avrebbe votato il maxi-emendamento a firma Anna Finocchiaro, che recepisce gli accordi conclusivi sull'Italicum. Legge che Walter Tocci - pur esprimendo la speranza «che cada presto il velo di incomprensione tra noi senatori del Pd» - ha definito segnata da «un emendamento illegittimo (quello Esposito, ndr) che apre una nuova fase costituzionale, di premierato assoluto». Altre tensioni nell'aula di palazzo Madama quando la senatrice dem Lucrezia Ricchiuti, ha accusato il Pd di «essere alla frutta» nel vedersi respingere un emendamento che introduceva le primarie per legge nella scelta dei candidati, principio che invece veniva poi accolto, ma in un semplice ordine del giorno indirizzato al governo. A difendere l'Italicum, la ministra delle Riforme, Maria Elena Boschi, che dopo aver twittato «la legge è seria, lo scopriranno quando la leggeranno», su Facebook proclamava: «Dopo anni di rinvii siamo a un passo dal risultato. Tutto il resto è polemica. Non ci fermiamo».

Era poi la conferenza dei capigruppo a respingere le richieste delle opposizioni di rinviare il voto finale sull'Italicum a dopo l'elezione per il Colle. Cosa che invece si verificherà alla Camera sulla riforma del bicameralismo paritario, a causa anche della pervicace linea di interdizione della sinistra dem, della quale ieri in 35 - da Bersani a Cuperlo a Rosy Bindi - non hanno partecipato al voto sul fondamentale articolo 2 della riforma che abolisce l'attuale Senato. E' stata quindi la conferenza dei capigruppo a decidere di adottare la proposta Pisicchio di esaurire entro mercoledì l'esame di tutti gli emendamenti del ddl costituzionale e di rinviare il voto finale a scelta avvenuta del successore di Napolitano.