L’Italia chieda più flessibilità, ora Berlino deve cedere

di Giulio Sapelli
3 Minuti di Lettura
Lunedì 17 Agosto 2015, 00:11
Che si diranno oggi pomeriggio a Milano Angela Merkel e Matteo Renzi? È in atto da tempo - da quando il premier italiano ha conquistato il podio della direzione del governo - un mutamento dell’atteggiamento dell’Italia nei confronti dell’Europa e soprattutto della sua direzione ossia del potere situazionale di fatto che ne ha il controllo. Non si è più eterocomandati come era con Monti e non si è più solo titubanti e incerti come era con Letta. Ora il messaggio che si invia sia alle tecnostrutture europee sia ai mass media è chiaro anche se ancora troppo poco deciso. E si riassume così: più crescita e meno austerità, più politiche di bilancio che tendano all’autonomia relativa degli Stati e meno strumenti automatici di controllo che sempre più concentrano meccanismi servili e vincoli, piuttosto che opportunità di possibili politiche economiche espansive.

Ed è proprio contro questo possibile cambiamento di orientamento italiano e in potenza anche francese che si è levata forte e minacciosa la voce di Schauble e dopo di lui ha tuonato il corno-svevo del vichingo presidente della Bundesbank con una arroganza inaudita per il suo intromettersi in faccende squisitamente politiche. Coloro che hanno concepito l’Europa come uno strumento di dominazione economica delle nazioni nordico continentali sulle nazioni dell’Europa del Sud, vogliono ancora più porre al sicuro il meccanismo di spogliazione economica che via via le politiche dell’austerità quel dominio hanno reso ferreo per anni.



Il meccanismo è semplice: prestiti bancari tedeschi (e francesi, di qui il tergiversare della Francia) per stimolare a debito la domanda degli Stati europei del Sud, così da far fare profitti alle imprese del blocco teutonico e indebitare gli stati del Sud Europa. Appena la crisi è apparsa all’orizzonte i problemi sono esplosi. Anche la Germania si è arenata. Non cresce più. E tutto si ferma, anche ciò che si dava in compenso ai sudditi, ossia le esportazioni italiane e sudiste in Germania adesso sono in pericolo. Il sistema vassallatico sta andando in pezzi e anche le notizie che vengono da oltre oceano sono pericolose. Tutto si sta fermando, anche in Cina.



L’idea di Schauble e del suo capo della Bundesbank sono pazzesche. Credono di poter sostituire l’assenza di domanda interna, aggravando ancor di più i vincoli di bilancio e penalizzando in ogni modo la crescita. Non hanno imparato nulla dalla crisi greca la cui risoluzione ha sconfessato le loro teorie e il loro operato. Sconfitti, tentano con le schiere baltiche e polacche di assestare il colpo fatale. Si tratta di ciò che ho già indicato come il vizio paranoico dello scorpione che condanna se stesso alla morte per la coazione a ripetere. Confido che il colloquio odierno del nostro primo ministro con Angela Merkel possa porre le basi per far sì che questa coazione a ripetere si interrompa.



Si incontrano due politici puri. Angela Merkel non può non comprendere che seguire la via del dominio anziché dell’alleanza, seguire la via della sottrazione anziché della condivisione della sovranità politica (non tecnocratica) non può non voler dire anche il suo indebolimento politico e la stessa fine della Germania come potenza continentale. Quella potenza è soprattutto - ahimé - ormai legata solo più al dominio economico e non ancora alla cultura splendida di un tempo. E quindi Angela Merkel non può non comprendere che la crisi da deflazione non è passeggera ma continuerà e l’unico modo per affrontarla è condividere una politica economica nuova e diversa. È la sua sola salvezza. Se non percorrerà questa strada i falchi della Cdu e della Csu e la disarmante debolezza socialdemocratica la faranno prigioniera di una scelta che non potrà che essere disastrosa per tutti e in primo luogo per lei.



L’Europa ha bisogno di una nuova Angela Merkel, di una leader che riscopra il vero destino tedesco che è quello di Heine e di Bonhoffer. Un destino di universalità e non di nazionalismo travestito da rigore tecnocratico. Questa è la politica, la vera politica che può ancora salvare l’Europa. Renzi ha una grande responsabilità. Sappia che tutte le grandi rivoluzioni diplomatiche sono storicamente accadute grazie ai rapporti personali tra i capi dei popoli, tra i capi dei governi, tra i leader. Per questo dobbiamo poter sperare che da una passeggiata colta e serena all’Expo, manifestazione per sua natura universale, possa aprirsi una nuova pagina della storia non solo europea.