L'intervista Il sottosegretario Delrio:
«In Europa la crescita è troppo lenta
ora serve un piano per gli investimenti»

Il sottosegretario Graziano Delrio
di Luca Cifoni
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Domenica 13 Luglio 2014, 01:04 - Ultimo aggiornamento: 14 Luglio, 01:47
La crescita un problema europeo e va affrontato con un piano di investimenti a livello continentale.



Questa è la linea del governo di fronte al peggioramento del quadro economico, spiega Graziano Delrio, sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Che conferma la volontà di puntare all’esclusione delle spese per il cofinanziamento dei fondi europei dal parametro del deficit. E indica il riassetto delle società partecipate, anche attraverso un programma di aggregazioni, come prossima tappa della revisione della spesa.



Il barometro della produzione industriale segnala che la situazione volge al brutto. Ora si attende il Pil del secondo trimestre ai primi d’agosto.

«C'è una ripresa più lenta in tutta Europa e questo è un dato sui cui dovrà riflettere la nuova Commissione. C'è bisogno di un piano straordinario di investimenti. Non mi importa come lo chiameremo, se si tratterà di Eurobond o altro. Il punto non è lo strumento ma l'obiettivo, i contenuti. Si tratta di fare un salto di qualità anche culturale, puntare su scuola, ricerca, reti energetiche, infrastrutture anche immateriali, innovazione.



Nel documento di Van Rompuy uscito dal vertice di fine giugno queste cose ci sono ed è stato anche importante che la Germania le abbia condivise, fino a poco tempo fa non sarebbe successo. Tutti si devono rendere conto che è un momento delicato. Non è un problema solo nostro, la produzione industriale è calata anche in Francia, anche in Germania per il terzo mese consecutivo. L'effetto più grave è la crisi occupazionale. Se ne può uscire solo con politiche europee. Attenzione però....».



Attenzione a cosa?

«l'Italia deve fare la propria parte. Gli investimenti non servono se non siamo in grado di evitare i casi di corruzione, di fare in modo che i lavori non durino anni e anni. Noi diciamo che è giusto escludere i cofinanziamenti nazionali dal calcolo del deficit, ma non possiamo permetterci di perdere miliardi su miliardi della vecchia programmazione europea. La Ue nelle sue raccomandazioni ci chiede appunto di contrastare la corruzione, di semplificare, di rivedere il processo civile. Dobbiamo affrontare le cause dei nostri mali, senza dare la colpa agli altri».



Un grande piano di investimenti è un’ambizione realistica per l’Unione europea che vediamo oggi?

«Sembra che l'Europa riesca a fare qualcosa solo sulla spinta della paura. Successe così anche dopo la seconda guerra mondiale, ma poi si riuscì con coraggio a costruire l'edificio europeo. Anche con il fondo salva-Stati l'Europa si è mossa con lo spauracchio del fallimento, ora serve di nuovo coraggio per costruire qualcosa di positivo.



La guerra oggi è quella tra occupati e disoccupati, dobbiamo reagire come negli anni Cinquanta. Come ha detto il presidente Renzi si tratta innanzitutto di dare un’anima all’Europa, quindi il problema non è chiedere sconti per i Paesi mediterranei. Dentro questa nuova Ue, che si pone l’obiettivo ambizioso di gestire un momento così difficile, ci può essere anche maggiore attenzione per la flessibilità che già è nei Trattati, per i margini di manovra che già esistono. Si tratta di usare questi spazi, come del resto hanno fatto altri Paesi ai quali è stato concesso più tempo per rientrare, ad esempio è il caso della Francia».



L’Italia però ha un problema specifico, il peso del suo enorme debito. Potranno servire anche misure straordinarie per ridurlo?

«Il nodo del debito si affronta solo con la crescita, evitando così di sprecare i nostri cospicui avanzi primari. Su una eventuale ristrutturazione ci sono varie proposte a livello accademico, ma noi dobbiamo concentrarci sulla crescita, che è l’unica ricetta, l’unica medicina. Però si può fare di più per la valorizzazione e la vendita del patrimonio immobiliare, in particolare quello locale. Su questo stiamo lavorando con il commissario alla revisione della spesa Cottarelli».



A proposito, come va il lavoro della spending review? È in arrivo il piano per le società partecipate?

«Stiamo facendo un ragionamento serio. Si tratta di distinguere le società strumentali da quelle che hanno rilevanza economica, poi di analizzare quelle che generano perdite. E quindi di andare verso aggregazioni per settori omogenei come acqua, rifiuti e così via. Questo può innescare un processo virtuoso».



Il presidente del Consiglio ha ricordato che restano da emanare circa 750 decreti attuativi di leggi. Non rischiate di rimanere impantanati anche voi?

«Dobbiamo assolutamente riuscire a dare velocità all’attuazione delle norme. Sui decreti attuativi bisogna capire quali sono utili e urgenti e di quali invece non si sente la necessità. Questi ultimi potranno essere abbandonati essendo previste misure di salvaguardia.



Il problema non è scrivere nuove norme, ma fare in modo che poi riescano ad atterrare. Non ci devono essere poteri di veto non solo da parte dei ministeri ma nemmeno di altre strutture, come ad esempio le sovrintendenze: per questo stiamo rivedendo anche la conferenza dei servizi. Lo Stato deve agire in modo unitario, non è possibile che ci siano sei entità che si occupano della stessa cosa e che poi si debbano attendere mesi per avere un parere».



Per questo Palazzo Chigi avrà più poteri a scapito degli altri ministeri?

«Non c’è nessuna guerra agli altri ministeri, non c’è nemmeno l’ambizione di portare tutto sotto Palazzo Chigi. Ma così non si può andare avanti, le inefficienze dello Stato sono una delle cause della nostra perdita di competitività».



Lei dice che il problema non è fare nuove norme, però anche voi in questi primi mesi non avete scherzato con la produzione legislativa.

«Forse abbiamo pagato un prezzo per iniziare a smuovere una politica mummificata, per questo abbiamo dovuto scrivere anche noi nuovi provvedimenti. Ma ora vogliamo procedere in un’altra direzione, dare un quadro più definito ad esempio con il lavoro sui testi unici che è molto importante».



Uno dei fattori di blocco è il rapporto fra Stato centrale e territori. Cosa cambierà?

«Una democrazia si deve assumere la responsabilità di decidere e i cittadini hanno il diritto di sapere di chi è la colpa o il merito di quello che accade intorno a loro. Con le riforme in via di approvazione superiamo la legislazione concorrente, in modo da riportare allo Stato materie fondamentali come energia, trasporti e turismo, superiamo il bicameralismo perfetto, mentre già siamo intervenuti sulle Province. In questo quadro andrà rivisto anche il sistema delle Conferenze fra Stato e Regioni e fra Stato e Città».



A proposito di città, lei ha collaborato al piano di risanamento per Roma. Ce la farà la Capitale?

«Sono certo che possa farcela, è una parte troppo importante della competitività del nostro Paese. Il piano ha una buona ossatura, è serio, su alcuni aspetti come la razionalizzazione delle società o il contenimento dei costi anticipa quel che vogliamo realizzare in tutta Italia. Ora si tratta di fare tutti i passaggi necessari, certo sarà faticoso ma io ho fiducia».
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