Al di là di qualche gesto di facciata, i Paesi del nord Europa continuano a trattare l’emergenza come se non li riguardasse. In particolare quando si affronta il tema cruciale della redistribuzione dei profughi su scala comunitaria. «Una prospettiva sulla quale lavorare» ha dichiarato in proposito François Hollande: in pratica l’equivalente in politichese di un rinvio alle calende greche. Prima di far risuonare le solite grida di indignazione sulla crudele indifferenza dei partner europei, però, sarebbe bene che noi italiani ci guardassimo allo specchio.
La frattura nord-sud non esiste solo a livello continentale: ce l’abbiamo in casa. I dati pubblicati ieri dal Messaggero sono eloquenti. La stragrande maggioranza dei profughi continua ad essere ospitata nelle regioni meridionali nelle quali sono sbarcati. La solidarietà che chiediamo a gran voce su scala europea non siamo capaci di praticarla neppure su scala nazionale.
Ed è chiaro che l’imminenza delle elezioni regionali non facilita le cose, con i candidati leghisti (e non solo loro) pronti a demonizzare qualsiasi tentativo di distribuire in modo più equo gli oneri dell’accoglienza.
L’Italia finisce così con l’applicare su scala nazionale il principio della “responsabilità del più vicino” che condanna nella bocca del premier inglese. Con la differenza che i Paesi del nord Europa hanno, purtroppo, il diritto dalla loro parte: salvo alcune iniziative comuni, l’immigrazione e le politiche di asilo non sono materie comunitarie. Salvini e tutti quelli che vorrebbero ridurre l’emergenza a un problema delle isole e delle coste del Sud, invece, non hanno proprio il minimo appiglio. Né morale, né giuridico.