Il testamento dell'ex senatore Mario D'Urso: a Bertinotti 500mila euro

Il testamento dell'ex senatore Mario D'Urso: a Bertinotti 500mila euro
di Renato Pezzini
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Mercoledì 29 Luglio 2015, 06:07 - Ultimo aggiornamento: 4 Agosto, 11:38
Andate in giro per il mondo, e cercate gli abiti, le camicie, le cravatte di Mario D'Urso, arbiter elgantiarum per antonomasia, l'avvocato che si destreggiava fra alta finanza, case reali, jet set. Ce ne sono dappertutto di abiti suoi, all'hotel Lutetia di Parigi dove c'era sempre una suite prenotata a proprio nome, al Vesuvio di Napoli, negli alberghi di Amalfi. E ovviamente nelle case (tutte in affitto) da lui abitate in ogni continente: «Ovunque siano, essi sono destinati a mio nipote Francesco» ha scritto nel testamento.



Certo, quello dei suoi vestiti è un gran patrimonio. Ma negli «ultimo voleri» pubblicati il 15 giugno scorso, dieci giorni dopo la sua morte, ciò che più sorprende non è l'eredità sartoriale affidata al nipote, quanto l'assai consistente lascito lasciato al suo caro amico Fausto Bertinotti. Quanto consistente? 500 mila euro, una miliardata del vecchio conio. Una generosità prontamente ricambiata «dall'amico Fausto» dopo la dipartita di D'Urso: «Mario era un uomo profondamente buono. Lo definivano snob, ma non era vero».



Il lascito di D'Urso a colui che è stato il volto del comunismo italiano anche dopo la morte del comunismo stesso, è il solo pezzo di eredità destinato a un politico. Eppure, le stanze del potere nostrano le aveva frequentate con assiduità, divenendo pure senatore al seguito di Lamberto Dini e ricevendo un incarico da sottosegretario, nel 1995. Ma il solo per il quale ha conservato affetto fino al punto di destinargli una sostanziosa regalia post mortem è Bertinotti, a cui - oltre al mezzo milione - andranno pure due serigrafie di Andy Warhol.



I SALOTTI ROMANI

Strana coppia, la loro. L'uno, D'Urso, emblema del dorato mondo internazionale uso a maneggiare cifre con moltissime zeri e a frequentare regge reali; l'altro, Fausto il rosso, paladino delle classi lavoratrici e custode fuori tempo dell'ortodossia operaista. Li fece incontrare il bel mondo dei salotti romani alle cui regole Bertinotti si è prontamente adeguato anche grazie ai buoni uffici «dell'amico Mario» che in fin di vita ha voluto essergliene riconoscente mettendolo in buona posizione nella gerarchia dei propri eredi prediletti.



AGNELLI E KISSINGER

E del resto Mario D'Urso era così. Capace di intrattenersi alle 5 del mattino in call conference intercontinentali con l'avvocato Agnelli ed Henry Kissinger, e la sera disposto ad ascoltare una filippica di Fausto sulle degenerazioni del capitalismo. «Ma io» ha detto di lui Bertinotti «l'ho visto nutrire rapporti ben più profondi con i suoi collaboratori domestici che con la contessa o la principessa di turno». E in effetti i suoi domestici - originari dello Sry Lanka - figurano fra i principali beneficiari delle sue volontà testamentarie.



Case di proprietà non ne possedeva. Ma denari e oggetti di valore sì. Ora destinati a parenti, nipoti (le quattro figlie del fratello Luigi e di Inès de la Fressange), fondazioni benefiche (la Dynamo Camp di Vincenzo Manes) e un ristretto gruppo di amici fra cui, oltre ai coniugi Bertinotti (anche la signora Lella è ricordata), spiccano l'avvocato Roberto Simeone, Nicolò Dubini, il banchiere Massimo Ponzellini destinatario di un dipinto d'un certo valore. Tutta gente, compreso il compagno Fausto, a cui i lasciti di D'Urso certo non cambieranno la vita. Così come non cambieranno la vita alla nipote dell'ex presidentessa delle Filippine, Cory Aquino.



C'è infine da spartire l'archivio «dell'avvocato nato a Napoli e cresciuto a Washington». Ma non verrà spartito. Fotografie, libri, documenti conservati nella sua casa romana verranno tutti affidati alle cure di un nipote, Francesco Serra di Cassano, che avrà il compito di creare una Fondazione apposita e di redigere un libro sulla vita e sulle opere di Mario d'Urso. E chissà, magari la prefazione sarà affidato proprio a Fausto Bertinotti.