Fassina lascia il Pd. Poi precisa: «Non ancora» Video

Fassina lascia il Pd. Poi precisa: «Non ancora» Video
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Martedì 23 Giugno 2015, 23:36 - Ultimo aggiornamento: 24 Giugno, 15:26
Stefano Fassina lascia il Pd. Il deputato, esponente della minoranza dem, da tempo in rotta di collisione con il premier Matteo Renzi, lo ha annunciato martedì in serata parlando al circolo d di Capannelle.







«Io credo che sia il momento, per quanto mi riguarda, di prendere atto che non vi sono più le condizioni per andare avanti nel Pd - ha detto Fassina - e insieme, vi assicuro a tanti e tante, proveremo a costruire altri percorsi. Altri percorsi che possano portare non a fare testimonianza minoritaria ma a fare una sinistra di governo però su una agenda alternativa».



Poi fassina ha in parte rettificato. In tarda serata è arrivato infatti il parziale dietrofront: «Non ho ancora lasciato il Pd», ha detto all’agenzia Lapresse, senza tuttavia smentire l'intenzione di abbandonare il partito di Matteo Renzi, con cui Fassina si è scontrato duramente molte volte.



In precedenza Fassina aveva di nuovo attaccato il governo sulla riforma della scuola. «La scelta del governo di porre il voto di fiducia sul disegno di legge sulla scuola è uno schiaffo al Parlamento e all'universo della scuola che in questi mesi si è mobilitato per un intervento innovativo e di riqualificazione della scuola pubblica - aveva dichiarato oggi Fassina -. Il testo del maxiemendamento predisposto dal governo si limita a qualche ritocco cosmetico senza dare le risposte necessarie al fine di cancellare la chiamata dei docenti da parte dei presidi, di introdurre un piano pluriennale di assunzione degli insegnanti precari, di rivedere l'iniquo finanziamento alle scuole private e, infine, di ridefinire le norme di delega».



«Il Pd mette la fiducia su un testo che contraddice profondamente il programma sul quale siamo stati eletti. Un testo ispirato nel suo principio guida alla riforma Aprea, sottosegretaria del governo

Berlusconi. È inaccettabile il ricatto sulle stabilizzazioni. No al voto di fiducia», aveva concluso il deputato.



«Sulla Grecia, a Bruxelles, la Germania e gli altri governi dell'euro-zona si ostinano a negare la realtà - aveva poi affermato in una nota -: senza un'ampia ristrutturazione del debito pubblico, senza evitare avanzi primari, senza aumento della domanda interna dei paesi in surplus commerciale, il ricercato accordo diventa soltanto un doloroso rinvio che continua a affossare l'economia di Atene e brucia il capitale politico conquistato alle elezioni dal governo Tsipras. La Grecia pone domande sistemiche: l'euro-zona è su una rotta insostenibile. Il problema non è il paziente riottoso - ha aggiunto - ma la medicina che aggrava la malattia. È nel nostro interesse nazionale far maturare una radicale correzione del mercantilismo liberista sulla Grecia. Siamo tutti greci».