Le due strade dei Comuni per ridurre le tasse locali

di Oscar Giannino
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Lunedì 3 Agosto 2015, 00:16 - Ultimo aggiornamento: 00:17
L’allarme della Corte dei conti sul record di aumenti del fisco locale, come strumento per compensare i tagli dei trasferimenti di finanza pubblica alle Autonomie di anno in anno operati dai governi, non poteva arrivare in un tempo più adatto. Comincia infatti oggi il mese della passione al ministero dell’Economia, quello in cui dopo aver fatto stato degli andamenti mensili della spesa e delle entrate pubbliche, occorre far quadrare i conti in vista della bozza della legge di stabilità.



Dove “quadrare i conti” significa: conciliare le nuove promesse e impegni del governo con gli andamenti tendenziali della finanza pubblica, in modo da assicurare con gli interventi proposti in legge di stabilità da una parte quanto il governo ha già annunciato per gli anni a venire, dall’altra gli obiettivi già contrattati con l’Europa su base pluriennale, di contenimento del deficit e di abbassamento del debito pubblico. Un compito terribile, per il Mef.



Se sommiamo solo alcune delle maggiori poste previste nel 2016, abbiamo 16 miliardi di clausole fiscali da non far scattare, 3 miliardi tra reverse charge bocciata dalla Ue e rimborsi previdenziali dopo la sentenza della Corte costituzionale, 4 miliardi dei 13 triennali necessari al rinnovo dei contratti del pubblico impiego anche in questo caso dopo sentenza della Corte costituzionale, 5 miliardi previsti per la decontribuzione ai nuovi contratti nel 2016, e 19 miliardi necessari per far scendere il deficit dal 3% di Pil all’1,8% contrattato con la Ue per il 2016.



Poi 5 miliardi per coprire l’abolizione di Imu-Tasi sulla prima casa, l’Imu agricola e quella sui beni strumentali imbullonati delle imprese. Tutto questo senza elencare tante altre poste discendenti da promesse del governo, per esempio 3 miliardi aggiuntivi per la scuola. Poiché come vedete la cifra supera abbondantemente i 50 miliardi verso i 60, è evidente che al Mef sudano freddo.



Per ben che vada, dovrebbe produrre 10 miliardi la spending review rinviata di un anno e mezzo rispetto alle proposte di Cottarelli. Ed è ormai altrettanto evidente che Renzi non parla più pubblicamente dell’obiettivo a medio termine contrattato con la Ue, di riduzione del deficit all’1,8% del Pil nel 2016, ma solo di rispettare il tetto del 3%. Ergo quei 19 miliardi di abbassamento del deficit al Mef non sono richiesti, a patto che Bruxellles naturalmente ci autorizzi, cosa tutta da vedere. Ma restano sempre troppi, gli impegni annunciati da Renzi, anche prendendo per buono il deficit ancora al 3% l’anno prossimo.

In questo quadro si colloca l’impegno formale annunciato da Palazzo Chigi: i 5 miliardi di minori introiti per l’abrogazione dell’Imu su prima casa, agricola eccetera non saranno minori risorse per i Comuni, perché il governo li pareggerà con altrettanti trasferimenti. Finora, è avvenuto il contrario. Roma tagliava, e gli Enti locali aumentavano le addizionali. È il meccanismo che spiega l’aumento della propensione al risparmio degli italiani sia pur in presenza di minori redditi pro capite dovuti alla disoccupazione: sapendo che le tasse comunque localmente aumentavano, meglio risparmiare che consumare.



Prendiamo allora per buona l’idea di Renzi. E non ipotizziamo che improvvisamente il governo ci riservi l’anno prossimo 30 miliardi di tagli di spesa. Avanziamo invece una proposta diversa. C’è un modo, per pareggiare il conto tra dare e avere di Roma e dei Comuni, senza far aumentare le tasse locali su altre tasse in presenza di abbattimenti su imposte loro riservate? A ben vedere, c’è eccome, se il governo vorrà finalmente imboccarlo. Si tratta di usare due leve patrimoniali, a fronte di una che riguarda il conto economico. La prima leva è quella delle municipalizzate. La seconda quella degli immobili comunali (e regionali).



Come era scontato prevedere, la norma posta in legge di stabilità 2015 dall’attuale governo, sui programmi di razionalizzazione e cessione delle società controllate dagli Enti Locali, non ha prodotto nulla. Era ovvio: non c’erano sanzioni previste né norme cogenti, nel comma della finanziaria. Allora nella prossima legge di stabilità il governo preveda invece che i risparmi da cessioni e fusioni delle migliaia di municipalizzate diventino automatici bonus di spesa rispetto al patto di stabilità interno.



La seconda leva è quella degli immobili pubblici. Attenti a non cadere nell’inganno. La stima di 59 miliardi di valore degli immobili statali lanciata tre giorni fa dall’Agenzia del Demanio è relativa ai soli mattoni dello Stato centrale. Nell’ultima stima pubblicata dal Mef relativa all’intero patrimonio pubblico, risalente alla fine del 2011, il valore complessivo era di 425 miliardi, di cui 227 in mano ai Comuni, 11 alle Regioni, 29 alle Province, 25 alle Asl , più 150 miliardi di ex Iacp cioè edilizia pubblica popolare. Ecco, allo stesso modo delle municipalizzate cedute, il governo preveda in legge di stabilità che tutte le cessioni di patrimonio pubblico – per cessione s’intende non la vendita immediata, ma il conferimento a veicoli specializzati privati che avranno anni per cederli e metterli a reddito, potendo emettere obbligazioni sulla base dei loro cospicui asset – configurino automatiche e proporzionali dotazioni di spesa, spendibili su base pluriennale.

Su questa base, possiamo garantirvi che i 5 miliardi a pareggio si trovano, senza un solo euro di spesa aggiuntiva in deficit o di tagli di spesa del governo centrale. Certo, bisogna voler tagliare il perimetro pubblico. Ma municipalizzate e patrimonio immobiliare sono all’80% manomorta, dai dati che abbiamo a disposizione non generano reddito ma solo perdite. Lo farà, il governo Renzi? E i Comuni, accetterebbero lo scambio?