Comune sotto tutela/ Una scelta obbligata, l'onestà non basta

di Carlo Nordio
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Giovedì 27 Agosto 2015, 22:33 - Ultimo aggiornamento: 28 Agosto, 00:01
La fondamentale differenza tra Giustizia (intesa sia come etica sia come legalità) e Politica risiede nel fatto che la prima guarda alle intenzioni e la seconda ai risultati. Per la Giustizia uno stesso comportamento può essere criminoso o indifferente a seconda del proposito del suo autore: si può uccidere per odio, o per sbaglio, o per legittima difesa. In politica questa differenza non vale: quello che conta è il risultato, che dev’essere conforme al programma avallato dagli elettori. In politica, come insegnava un saggio, niente ha più successo del successo.



La vicenda del Comune di Roma, con il sostanziale “commissariamento” del sindaco e del suo seguito, conferma questo principio. Nessuno ha infatti mai dubitato della personale onestà del professor Marino, e del suo fermo disegno di combattere l’immoralità e l’illegalità. Tuttavia nessuno dubita che questo progetto ormai rischi di fallire, e che l’attuale amministrazione non sia attrezzata a sufficienza per fronteggiare i problemi connessi alle attività delle formazioni mafiose esistenti, e alle possibili infiltrazioni di altre in vista del Giubileo. La decisione del Governo è pertanto comprensibile, e forse anche tardiva. Tuttavia pone due problemi, uno di ordine generale, uno più specifico. Quello specifico riguarda, come è ovvio, la Capitale del Paese. Non sappiamo se il ridimensionamento del sindaco costituisca il verecondo surrogato di una traumatica destituzione, o il primo passo verso le urne, o la conseguenza di faide correntizie o altro.



Resta il fatto che, per la prima volta nella storia, si assiste ad una sorta di tutela protettiva imposta dallo Stato a un’amministrazione locale. Beninteso, il primo ha il diritto e il dovere di vigilare sulla seconda, attuando i controlli e gli interventi che ne impediscano gli errori e ne rimedino le inerzie. Ma questo è sempre avvenuto, appunto, attraverso rimozioni e sostituzioni, mentre ora si assiste a un’inedita curatela di sostegno di cui tra, l’altro, non sarà facile definire limiti e competenze. È, come si è detto, una scelta obbligata. Ma è una scelta che, in un sistema normativo gravato di ricorsi e sospensive rischia di complicare una situazione già caotica.



Il problema generale è forse meno urgente, ma certamente più serio. Esso consiste nel pernicioso pregiudizio, nato da tangentopoli e alimentato dalla ventennale polemica filo e anti berlusconiana, che l’onestà individuale, assistita da solenni esaltazioni moralistiche, costituisca requisito sufficiente per ricoprire efficacemente le più importanti cariche pubbliche. Ora, a parte il fatto che l’onestà non può limitarsi alla purezza del certificato penale, ma deve riflettere quantomeno la disinteressata devozione all’interesse collettivo, essa non garantisce, da sola, il conseguimento dell’utilità nella quale si sostanzia, come si è detto, la buona politica. Con il risultato che, negli ultimi anni, abbiamo assistito a una proliferazione di candidati di commendevole probità, privi tuttavia della competenza e dell’esperienza idonee all’attuazione di un programma adeguato alle esigenze generali. Purtroppo parte dell’elettorato, per comprensibili reazioni emotive, ha creduto in questo miraggio ingannevole, dimenticando che le buone intenzioni conducono spesso a risultati catastrofici. Perché le virtù del politico, come insegnava Gibbon, sono essenzialmente diverse: il cervello per comprendere, il cuore per risolversi e il braccio per realizzare. L’onestà, come l’intendenza, deve soltanto seguire.