Centrodestra, il fantasma senza identità

di Stefano Cappellini
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Giovedì 8 Ottobre 2015, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 00:11
Lo stato di salute del centrodestra italiano ha toccato nelle ultime settimane il punto più basso degli ultimi anni. Diviso tra una componente stabilmente al governo (Ncd) e l’altra fuori, falcidiato da una serie di scissioni che ha prodotto fin qui sette partiti laddove c’era il solo Pdl, privo di una leadership condivisa, il centrodestra è oggi una galassia di sigle il cui numero e varietà non ha nulla da invidiare all’Unione di centrosinistra che vinse le elezioni nel 2006 e si sfaldò dopo pochi mesi di governo.



Un rischio, quello di vincere una competizione elettorale nazionale, che questo centrodestra per ora non sembra correre.

Le votazioni in Senato sul ddl Boschi, una battaglia cruciale per il destino della legislatura, sono la più chiara testimonianza delle sue condizioni. Nemmeno il picco negativo di consensi in aula per la maggioranza - in una votazione è scesa poco sopra quota 140 - è bastato a rianimare il campo degli avversari del ddl. Al contrario, i voti di Forza Italia sono stati determinanti per salvare il governo da un emendamento della minoranza Pd che rischiava di creare seri problemi di numeri al governo. Naturalmente non c’è nulla di illegittimo nella scelta di Forza Italia di votare insieme alla maggioranza, qualora lo ritenga opportuno nel merito delle questioni. Ma delle due l’una: se Fi considera davvero la riforma costituzionale un attentato alla democrazia - come sostiene in linea ufficiale - allora non può che prendere atto dell’assoluta inefficacia della propria opposizione, avendo sciupato tutte le occasioni utili per inceppare l’iter della riforma; se invece dietro le parole di fuoco si nasconde un atteggiamento di sostanziale via libera alla sua approvazione, come è lecito sospettare, allora sono gli elettori forzisti a doversi rassegnare, non essendoci nulla di più inservibile di un soggetto politico che sceglie da solo di rendersi imbelle e coltiva, evidentemente, obiettivi diversi da quelli pubblicamente dichiarati. Ma il problema, sia vera la prima o la seconda delle letture, non è solo di una parte di elettorato.

La lunga stagione berlusconiana si è avvitata in uno stallo assoluto, con un leader - lo stesso Silvio Berlusconi - il cui fermo immagine continua a svettare sulla coalizione proiettando su di essa la propria fissità. L’ambiguità delle tattiche parlamentari, del resto, è conseguenza diretta del vuoto progettuale: qual è la proposta del centrodestra al Paese? Alcuni dei suoi storici cavalli di battaglia - il fisco in testa - sono stati cooptati nell’agenda del Pd. Altri - l’immigrazione - sono declinati nella versione più estrema, ovvero quella lepeniana della Lega. E poi? Nulla, se non la stanca rivendicazione di vecchie parole d’ordine.

Non sono questi i presupposti per la nascita di una vera democrazia dell’alternanza, che per funzionare ha bisogno di poli con leadership chiare, con il coraggio di offrire all’opinione pubblica linee coerenti e di scandire accordi e disaccordi intorno a diverse visioni strategiche del Paese. Specie in un sistema dove esiste sì un’altra forte opposizione in campo, il Movimento 5stelle, ma che non sembra ancora avere deciso se trasformare il suo programma politico in una concreta agenda di governo o continuare a lucrare sul dissesto delle istituzioni. Se invece uno dei poli si organizza intorno a logiche occulte, si spappola e produce micro-gruppi utili solo a mischiare le carte in tavola all’occorrenza, tutto il dibattito politico diventa melmoso e altissimo il rischio che all’interesse generale si sostituisca quello particolare, dai dossier economici cari a Berlusconi giù a scendere fino alle ansie di rielezione a qualunque costo coltivate dai peones. I timori per la tenuta futura del sistema, nonostante l’introduzione della nuova architettura istituzionale, sono fondati e dovrebbe tenerli ben presenti anche chi adesso conduce il gioco, cioè il Pd di Matteo Renzi, e può essere tentato di trarne facili ma discutibili vantaggi.

Si avvicinano le amministrative del 2016, prove generali delle politiche, dove il centrodestra dovrà dimostrare un’idea almeno vaga dell’assetto con il quale presentarsi al giudizio del Paese. La rincorsa alle candidature civiche può forse produrre qualche buon risultato ma difficilmente maschererà i ritardi e le divisioni, come ben sa il centrosinistra che per anni ha inseguito la soluzione taumaturgica della società civile per dissimulare la disorganizzazione del proprio campo e la debolezza dell’offerta politica.