Caso migranti, il Vaticano e il ritorno dell’ingerenza
in politica

di Giuliano da Empoli
3 Minuti di Lettura
Giovedì 13 Agosto 2015, 23:50 - Ultimo aggiornamento: 14 Agosto, 00:03
La Chiesa ha tutti i titoli per prendere la parola sul tema dell’immigrazione. In primo luogo perché si tratta di un problema morale, oltre che materiale, sul quale è naturale voler difendere i propri valori. E poi perché la sua esperienza in materia di accoglienza ne fa uno dei principali protagonisti impegnati in modo concreto sul campo.

In un clima degradato come quello italiano ed europeo una parola alta sarebbe più che mai necessaria. Per questo ha destato un certo stupore vedere la conferenza dei vescovi italiani, nella figura del suo segretario generale, infilarsi invece in una guerra a colpi di insulti e di tweet con Salvini e Grillo. Qualche giorno fa, monsignor Galantino aveva aperto le ostilità attaccando sulle onde di Radio Vaticana i «piazzisti da quattro soldi» che fanno polemica sul tema dell’immigrazione. Il che ha evidentemente scatenato le reazioni scomposte di leghisti e grillini, che hanno approfittato dell’occasione per infiammare ancora di più il dibattito.

A quel punto, non pago, il portavoce dei vescovi ha deciso di rilanciare e allargare ancora il dibattito. «I piazzisti sono molti, piazzisti di fanfaronate da osteria», ha sobriamente replicato a Grillo e Salvini mettendoli in guardia dall'attaccare il pontefice, «perché Papa Francesco è molto popolare». Poi, già che si trovava, ha deciso di prendersela anche con il governo «del tutto assente sul tema immigrazione» e con la polizia che «ci porta gli immigrati e poi chi si è visto si è visto».



Ora, va bene tutto: ma siamo proprio sicuri che dalla Chiesa ci si aspetti questo? Un’entrata a gamba tesa nel dibattito politico, con lo stesso grado di aggressività e di approssimazione che contraddistingue i talk show di prima serata? Un ulteriore fattore d'invelenimento, anziché una parola di moderazione e di buonsenso?

Il protagonismo di Galantino ci riporta indietro di alcuni anni, alla Cei interventista del cardinale Ruini, che Bruno Vespa definiva il supremo regolatore della politica italiana. Sembrava una strada progressivamente abbandonata, prima da Ratzinger e poi, con ancor maggior determinazione, da Papa Francesco. Il quale aveva annunciato di voler puntare sul distacco dai vecchi riti dell’ingerenza e del potere curiale.

La parola dei vertici ecclesiastici è tanto più credibile quanto più è distante dalla sfera politica. Infilandosi nell’agone infuocato dello scontro sull’immigrazione, i vescovi si sono esposti contemporaneamente su tre fianchi. Innanzitutto, ed è il male minore, si sono imbarcati in un'escalation verbale dalla quale è difficile che possano uscire vincitori (basta fare un giro sui blog leghisti e grillini in queste ore per convincersene). In secondo luogo, hanno reso vulnerabile alle critiche il sistema di accoglienza che fa riferimento alla Chiesa.



Se la Cei giudica «assente» uno Stato che, bene o male, sta fronteggiando un'ondata migratoria che quest'anno potrebbe superare le 200 mila unità, cosa si potrebbe dire di una rete, forte di 23 mila parrocchie, che riesce ad accoglierne molto meno di un decimo? Il Messaggero ha documentato in questi giorni i limiti della politica di accoglienza della Chiesa (almeno per quanto riguarda i migranti: con i turisti le cose vanno assai meglio…).



Ma il rischio più grave è un altro ancora. Fino a quando le parole pronunciate dai vertici ecclesiastici - a cominciare da quelle del Papa - in materia di immigrazione rimangono nella dimensione spirituale, possiedono un'autorità morale incontestabile. Quando Francesco dice che Gesù Cristo è sempre in attesa di essere riconosciuto nei migranti e nei rifugiati, manda un messaggio molto forte ai credenti, che giustificherebbe anche l'invito papale ad accoglierli con spirito di carità e di fratellanza.



Ma se l'esortazione a spalancare le porte a tutti i migranti, senza distinzione alcuna, si trasferisce dalla sfera religiosa a quella delle policies, rischia di cadere nell’ingerenza e, soprattutto, nella demagogia. Nessuno può oggi realisticamente pensare che il modo migliore di gestire una delle ondate migratorie più imponenti della storia dell’umanità sia quella di far entrare tutti. A meno di non voler costruire l'esatto contrario di ciò che il Papa e la Cei auspicano: una società ancora più intollerante e divisa di quella nella quale già viviamo.