IL REGOLAMENTO
Ora, invece, la regola, utile soprattutto per contare il dissenso, sarà – spiegano fonti dem a palazzo Madama - puntualmente applicata. E sui temi ritenuti fondamentali per la vita del governo non sarà più valido il criterio della libertà di coscienza. In realtà, puntualizzano le stesse fonti, si tratta semplicemente di un altro strumento di pressione per evitare spaccature nel partito, ma costringere i parlamentari ad uscire subito allo scoperto è anche un ulteriore tentativo per assottigliare la pattuglia dei rivoltosi. Ed impedire scivoloni come quello accaduto sulla riforma della Rai.
I NUMERI IN COMMISSIONE
I bersaniani in ogni caso non hanno alcuna intenzione di ammainare bandiera bianca sugli emendamenti che verranno presentati giovedì. Sulla composizione del Senato non è prevista marcia indietro. Da qui l'allarme sui numeri scattato nelle stanze di largo del Nazareno. In Commissione affari costituzionali siedono tre esponenti della minoranza Pd e anche l'eventuale sostituzione di Mario Mauro di Gal con un verdiniano potrebbe non bastare. Anche per questo motivo si sono intensificati i colloqui con FI. Contatti in corso sul rinnovo dei vertici di viale Mazzini (nei giorni scorsi si sono incontrati Luca Lotti e Fedele Confalonieri) ma anche sul pacchetto costituzionale. Prima della battaglia finale a palazzo Madama si tenterà così di chiudere un'intesa con gli azzurri.
L'altra incognita riguarda l'articolo 2 sul Senato elettivo: è in corso, spiegano altre fonti parlamentari dem, un pressing nei confronti di Piero Grasso per evitare di riaprire una discussione che potrebbe portare ad una situazione esplosiva. Con i bersaniani pronti ad affondare il colpo. Intanto Matteo Renzi è tornato a farsi sentire con i suoi dal Giappone. «Non esiste un potere di veto di una parte minoritaria che dice ”o così o non votiamo”. Io non mi faccio ricattare da nessuno». C'è la disponibilità ad aprire un confronto – questa la linea del partito - ma senza mettere in discussione il superamento del bicameralismo perfetto che è un impegno assunto con gli italiani e votato più volte». Il tavolo con la minoranza dem sarà convocato però solo a settembre, alla ripresa dei lavori parlamentari.
LO SCONTRO
La tensione tra i renziani e il «gruppo dei 25» di palazzo Madama è sempre più alta. Ieri di primo mattino è partito un fuoco di fila per cercare di bloccare sul nascere il tentativo della minoranza di sabotare le riforme. «Che alcuni senatori del mio partito minaccino il vietnam parlamentare contro il nostro governo a me pare incredibile. Ma forse sono strano io», attacca Matteo Orfini. «Hanno un progetto ambizioso: tornare al passato», ironizza Andrea Marcucci. «Lealtà non è fedeltà acritica - è la risposta dei bersaniani attraverso una nota di Vannino Chiti e Maurizio Migliavacca -: su questo non siamo disposti ad accettare lezioni. C'è spazio per chi abbia posizioni diverse o è un disturbo insopportabile, un delitto di lesa maestà?». «Nessun agguato, noi le battaglie le facciamo alla luce del sole», spiegano anche Davide Zoggia e Alfredo D'Attorre.
Un primo chiarimento potrebbe arrivare nella direzione del Pd del 7 agosto convocata dal presidente del Consiglio per parlare del Mezzogiorno. Molti esponenti della minoranza Pd tuttavia sono tentati dal disertare l'appuntamento.