Con l'ok di Berlino/ L’ombrello che serviva contro il rigore

di Marco Fortis
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Venerdì 6 Marzo 2015, 00:10
Mentre ieri il Centro Italia veniva spazzato da insolite raffiche micidiali che hanno provocato danni e vittime, un vento ben più favorevole ha cominciato a soffiare dal Mediterraneo e potrà forse spingere definitivamente la vela della tanto attesa ripresa economica dell’Eurozona. Infatti, la Bce, due anni esatti dopo la grave crisi bancaria di Cipro, ha tenuto il suo Consiglio direttivo a Nicosia, annunciando che il Quantitative easing (Qe) deciso il 22 gennaio scorso partirà finalmente lunedì 9 marzo, con l’acquisto di titoli, per la maggior parte pubblici, a colpi di 60 miliardi di euro al mese. Un piano da 1.140 miliardi che favorirà migliori condizioni sistemiche di liquidità tali da sostenere e rilanciare l’economia dell’Eurozona, allontanando lo spettro della deflazione, fin tanto che l’inflazione ritornerà vicina all’obiettivo del 2%.



Il Qe europeo durerà come minimo fino al settembre 2016. Il suo schema, come è noto, non accontenta tutti, ha sollevato qualche perplessità ed espone le Banche centrali degli Stati nazionali a prendersi sulle spalle gran parte degli acquisti dei titoli di Stato e delle relative garanzie.



Tuttavia, il suo solo annuncio ha già avuto enormi effetti, rassicurando definitivamente i mercati internazionali che ora l’euro ha anch’esso il suo ombrello protettivo, come ce l’hanno il dollaro, la sterlina, lo yen. Un ombrello che se ci fosse già stato nel 2010-11 forse avrebbe scongiurato la crisi del contagio dei debiti sovrani e soprattutto l’attacco speculativo all’Italia. Ma allora i tempi non erano politicamente ancora maturi, il caos regnava tra Bruxelles, Berlino, Parigi e Roma, e al posto di una governance europea e della solidarietà tra Paesi membri c’era il vuoto pneumatico. Sicché il Presidente della Bce Mario Draghi ha dovuto tessere pazientemente la sua tela, passando per l’annuncio storico del luglio 2012 (quando disse che avrebbe fatto il possibile per salvare l’euro) e il successivo varo del programma Omt, prima di poter trasformare la Bce in una banca centrale all’altezza delle sfide dell’Eurozona.



Ora la Bce è davvero pronta per suonare una musica diversa, con l’organico degli strumentisti finalmente al completo e non più limitato alla solita monotona sonata della lotta all’inflazione: musica da salotto per poche intime economie benestanti, mentre fuori infuriava la bufera della crisi. L’Europa aveva bisogno di qualcosa di più, di una sinfonia ambiziosa quanto il suo progetto: e ora ce l’ha. Draghi ha certamente dovuto superare molti ostacoli e la continua opposizione della Bundesbank e dei falchi del Nord Europa. Ma non ha mai mollato ed è andato fino in fondo. E ieri, nel suo discorso dopo il Consiglio direttivo e durante la Conferenza stampa, il Presidente della Bce ha finalmente potuto illustrare il suo spartito, immaginiamo provando una meritata soddisfazione interiore, più di quanto non abbia lasciato trasparire il suo consueto freddo atteggiamento, rotto come sempre solo da qualche battuta ironica con i giornalisti.



Ieri è stato altresì annunciato che saranno mantenuti fermi i tassi e sono state aggiornate le previsioni dello staff degli economisti della Bce, i cui ritmi e tempi sono perfettamente in linea con lo spartito di Draghi. Il Pil dell’Eurozona, dopo l’Adagio del 2014, crescerà all’Andante dell’1.5% nel 2015, poi all’Allegro-moderato dell'1.9% nel 2016, fino all’Allegro del 2.1% nel 2017. Nello stesso tempo l’inflazione si riprenderà salendo dallo 0% del 2015 all’1.5% nel 2016, per arrivare all’1.8% nel 2017, vicina, cioè al target del 2%. Il tutto favorito dal calo del prezzo del petrolio che restituisce potere d’acquisto alle famiglie e riduce i costi delle imprese, dal ribasso dell’euro sul dollaro che l’annuncio del Qe ha reso possibile e dagli stimoli monetari del Qe stesso. Gli ultimi mesi, è l’analisi della Bce, hanno visto migliorare le condizioni dell’economia europea (come confermano anche le ultime stime Istat sullo stesso Pil italiano).



Ma per raggiungere gli obiettivi previsionali di crescita che ora sono alla nostra portata - ha aggiunto Draghi - le condizioni esterne ed interne favorevoli non basteranno se i Paesi non proseguiranno nel loro sforzo di riforme. Quando ieri il Consiglio della Bce è arrivato a Cipro è stato accolto da alcune manifestazioni di protesta. Alcune persone avevano dei cartelli con scritto: “Salvate la gente, non le banche”. Ma l’obiettivo della protesta, come spesso accade quando il populismo dilaga e le idee sono confuse, era sbagliato. La Bce di Draghi, infatti, ha salvato prima di tutto l’euro, senza il quale oggi saremmo tutti a piedi, poi il resto, comprese le banche e la Grecia stessa. Perché la Bce, come ha puntualizzato Draghi «è la Banca centrale della Grecia», dato che i prestiti ad Atene sono raddoppiati a 100 miliardi di euro in un mese e mezzo raggiungendo il 68% del Pil, un record assoluto nell’Eurozona. Atene, per inciso, data la particolare situazione del Paese, è ovviamente esclusa dal Qe. E non solo perché ha già avuto molto dalla Bce. Ma perché deve ancora spiegare come potrà andare avanti reggendosi sulle sue gambe.



La verità è che non spetta a Francoforte trovare la quadra tra austerità e crescita. Questo, infatti, è un compito di Bruxelles e dei governi dei Paesi membri dell’Eurozona. La Bce fa la banca centrale, punto e basta: è un concetto fondamentale che deve essere compreso (e non strumentalizzato) anche da parte di coloro, come i leader greci, che hanno legittime speranze che la politica economica europea possa cambiare. Ma, possibilmente, senza sfasciare tutto.



Sicché il direttore d'orchestra Draghi nella conferenza stampa di Cipro si è anche tolto qualche sassolino dalla scarpa dando una esplicita bacchettata a Tsipras, che con proclami ed atteggiamenti irresponsabili aveva fatto vacillare paurosamente nelle scorse settimane il sistema bancario greco, che poi, fatti i danni, è toccato alla Bce, come da copione, soccorrere. «Certe dichiarazioni - ha stigmatizzato Draghi - portano a volatilità sui mercati, aumentano gli spread, fanno dissolvere il collaterale e rischiano di compromettere gli sforzi della Grecia stessa».