In Africa il boom demografico non si fermerà

di Antonio Golini
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Domenica 23 Agosto 2015, 22:25 - Ultimo aggiornamento: 24 Agosto, 00:13
Mai come in questo periodo il Mediterraneo si trova al centro di pressioni e travagli di straordinaria rilevanza, umana, sociale ed economica. Tanto che si sono ripercossi e si vanno ripercuotendo anche all’interno della Chiesa e nei rapporti tra la comunità cattolica e il resto della popolazione italiana. Non solo, ma pure all’interno dell’Unione europea dove oramai esiste una leadership economica, ma non una sociale; ma soprattutto non ce n’è una che sappia guardare ai problemi geopolitici che si trova ad affrontare il mondo attuale e quello prossimo venturo.



Il quadro e le prospettive demografiche ed economiche sono chiare e nette. Da qui al 2050 le proiezioni recentissime dell’Onu ribadiscono che la popolazione dell’Africa dovrebbe aumentare più di ogni altra - da 1,2 miliardi a 2,5 del 2050 - nonostante una massiccia perdita di migranti, in particolare verso l’Europa, che invece dovrebbe diminuire da 738 milioni a 707 nel 2050, nonostante un massiccio afflusso di migranti, in particolare per l’appunto dall’Africa.



C’è modo di invertire queste tendenze? Nel breve e nel medio periodo no. Si può forse accelerare la discesa della fecondità delle coppie africane, ma assai difficilmente, e in ogni caso assai lentamente, si può tentare di far risalire la fecondità delle donne europee e in particolare di quelle italiane.



Il solo grande Paese europeo dove la fecondità è intorno a 2 figli per donna è la Francia, in cui non soltanto ci sono robusti e diffusi aiuti di ogni tipo per le donne e le coppie che desiderano avere un figlio in più, ma soprattutto c’è una radicata e introiettata cultura per cui un bambino costituisce non soltanto una attesa gratificazione per la donna e per la coppia, ma anche un bene collettivo che sostiene la società e l’economia e che quindi come tale va “remunerato” con benefici vari.



In alcuni circoli radicali europei e in Italia invece pare prevalere una cultura che nel bambino in più vede un peso per la coppia e per la società e che quindi come tale va scoraggiato. È in questa direzione che va considerata la trasformazione della locuzione anglo-americana, riferita alla coppia, “childless”, cioè senza figli, in quella “childfree”, cioè libera da figli.



Il fatto è che per avere equilibrio in una popolazione, il che comporta anche la fine del suo intenso invecchiamento, bisognerebbe che mediamente ogni coppia abbia due figli, che nel ciclo delle generazioni vanno a sostituire i due genitori. Il che significa che un Paese, così come assicura giustamente alle coppie la libertà di avere 1 oppure 0 figli, dovrebbe parallelamente assicurare la libertà di averne 3 oppure 4. Solo così i conti tornerebbero, ma l’impresa di farli tornare è, come facilmente intuibile, straordinariamente complessa e difficile. A meno che, auspicabilmente, in questo campo non si imbocchi, dal punto di vista culturale e da quello operativo, la strada della politica francese. O non si abbia una efficace e fruttuosa politica migratoria. O, ancora, un mix delle due politiche.