I perché del voto in Grecia, una spallata al laboratorio dell’austerity

di Giuliano da Empoli
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Domenica 25 Gennaio 2015, 23:03 - Ultimo aggiornamento: 26 Gennaio, 11:40
I risultati sono inequivocabili. Eppure l’ambiguità permane. Chi ha vinto ieri in Grecia? Alexis Tsipras, il leader fotogenico, ingegnere civile, sposato con due figli, a cavallo della sua motocicletta? O Syriza, la coalizione della sinistra radicale, accozzaglia disomogenea di tredici movimenti, dai trotzkisti ai maoisti ai castristi?



Sono mesi che gli osservatori si interrogano sulla reale natura del movimento che ha conquistato il 36% dei suffragi - e il cui presidente sarà ora chiamato a formare il governo. C’è chi dice che, al di là della retorica incendiaria, Tsipras sia un pragmatico. Lo era - sostengono - fin dagli anni della politica studentesca, quando prese parte alle grandi manifestazioni del 1990 contro le riforme della pubblica istruzione. Sono gli stessi che mettono l’accento sull’evoluzione di Syriza, un movimento radicale ormai quasi completamente addomesticato - dicono. Tant’è vero che non propone più neppure l’uscita della Grecia dall’euro. Altri mettono in luce profili diversi. L’ammirazione di Tsipras per Chavez, il figlio battezzato Ernesto in onore di Che Guevara, il frequente ricorso alle parole d’ordine della sinistra più dura.



E poi, indipendentemente dalle stesse intenzioni del leader, il calderone ingovernabile di Syriza, una specie di Frankenstein nato dall’assemblaggio di tutte le idee e utopie morte del Novecento con una spruzzata di Internet e di ecologia.



A chi scrive non viene in mente nessun esempio recente di una coalizione di estrema sinistra che sia riuscita a governare con successo una democrazia avanzata. È proprio questa la novità - sostengono gli ottimisti. Staremo a vedere. La situazione greca è così drammatica che i primi esami arriveranno quasi immediatamente, nel corso dei prossimi giorni. Si comincerà a capire allora se siamo all’alba di una nuova era o all’ennesima convulsione di quella attuale. Per quanto riguarda l’Europa, gli effetti del voto greco sono meno ambigui e, a mio avviso, più incontestabilmente positivi. L’ascesa di Syriza - e degli altri movimenti populisti e radicali - rafforza gli argomenti di chi lavora per uscire dal tunnel dell’austerità. Munizioni in più per il bazooka di Draghi e per i moschetti dei leader europei che si confrontano ogni giorno con la Merkel.



Sottoposta per cinque anni alla vigilanza inflessibile della troika, la Grecia è stata il laboratorio dell’austerità, il luogo nel quale gli effetti della cura di cavallo imposta da Berlino e da Bruxelles si sono fatti sentire nel modo più doloroso. Si è voluto trasformare la Grecia in un esempio, per far capire agli inaffidabili governi dell’Europa meridionale che avevano interesse a rigare diritto, se non volevano fare la stessa fine.



A partire da oggi è possibile che il movimento si inverta. Tsipras e Syriza fanno paura. Sono mine vaganti che rischiano di contagiare altri paesi, ben più pesanti della Grecia, a partire dalla Spagna, dove si vota a fine anno e un movimento di sinistra radicale è in testa a tutti i sondaggi. L’unico modo di disinnescarle consiste nel proseguire nella costruzione di un’agenda per la crescita e la coesione, sulla falsariga delle prime, timide iniziative della Commissione e del ben più deciso intervento varato giovedì scorso dalla Banca Centrale Europea. In fondo, un secolo e mezzo fa, anche il più illustre dei predecessori della cancelliera tedesca, Otto von Bismarck, non istituì lo stato sociale per bontà d’animo. Lo fece perché qualcuno era riuscito a convincerlo che, se non l’avesse fatto, i moti sarebbero diventati incontrollabili e, prima o poi, l’ordine prussiano sarebbe andato in pezzi.