La decadenza dell’Europa schiacciata fra Usa e Cina

di Romano Prodi
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Sabato 10 Ottobre 2015, 23:53 - Ultimo aggiornamento: 11 Ottobre, 00:14
Il caso greco è un po’ in disparte e i vertici autunnali di Bruxelles sui bilanci dei vari Paesi cominceranno fra poco. Approfittiamo quindi di quest’intervallo per parlare di Europa nelle sue prospettive storiche, al di là dei dibattiti quotidiani. Il lettore mi vorrà perdonare se inizio queste riflessioni con un esempio che ho già fatto mille volte e che ripeterò altre mille in futuro, cercando di arricchirne l’efficacia con gli esempi che la storia ci offre ogni giorno.

Il mio punto di partenza, più volte ripetuto, si fonda sull’esempio degli Stati italiani nel periodo del Rinascimento. Senza volere abusare nella retorica possiamo affermare che, nel mondo allora conosciuto, essi erano primi in tutto. Primi nelle arti (pensiamo a Michelangelo) primi nelle scienze (pensiamo a Leonardo) ma anche primi nei commerci, nell’organizzazione bancaria, nella finanza internazionale e nelle tecniche militari. Poi, con la scoperta dell’America, è arrivata la prima globalizzazione. Gli Stati italiani sono rimasti divisi, ma ciascuno di essi era troppo piccolo per costruire le grandi caravelle e i galeoni necessari per i nuovi traffici, mentre tutto ciò era possibile per i vasti imperi come la Francia, la Spagna o l’Inghilterra. Il risultato è stato semplice: l’Italia è scomparsa per quasi quattro secoli dall’elenco dei Paesi che contavano nel mondo e subisce tuttora le conseguenze di essere stata così a lungo fuori dal gioco.



Oggi le nazioni europee si trovano nella stessa situazione di fronte alla seconda e definitiva globalizzazione. Italia, Gran Bretagna, Francia e, a mio parere, anche la grande Germania sono troppo piccole e troppo deboli di fronte alla forza e alla dimensione che oggi posseggono gli Stati Uniti e che, domani, possederà la Cina. Come cinque secoli fa nel caso degli stati italiani, se agissimo insieme, saremmo certamente protagonisti nel mondo perché il Pnl europeo è dello stesso ordine di quello cinese e americano e siamo ancora i primi nella produzione industriale e nelle esportazioni, pur avendo perso qualche punto in molti settori della ricerca avanzata.

Le nostre divisioni e le nostre incertezze ci impediscono di mettere a profitto le forze che pure abbiamo ma, soprattutto, ci impediscono di costruire le caravelle e i bastimenti del ventunesimo secolo: si tratta delle reti che già avvolgono il mondo e che ne condizionano tutti gli aspetti della vita. Reti che sostengono i commerci, condizionano le transazioni finanziarie, scrutano ogni piccolo mutamento della terra, aprono gli orizzonti ai grandi progetti scientifici, rivoluzionano le comunicazioni e preparano perfino la guerra cibernetica. Una guerra che è stata addirittura il punto focale dei colloqui fra Obama e Xi Jinping. I suoi terribili strumenti possono, con raffinati software, paralizzare il volo degli aerei, interrompere il funzionamento delle sale operatorie, delle centrali elettriche e di tutti i gangli vitali della nostra esistenza: eppure questo colloquio è passato quasi inosservato dai nostri commentatori.

Ebbene tutte queste reti che avvolgono il mondo hanno solo nomi americani o cinesi. Anzi in ogni grande settore abbiamo un protagonista dominante americano e uno cinese in una drammatica e fatale simmetria. Google e Baidu nelle ricerche sul web, Amazon e Alibaba nel commercio on line, Twitter e Wechat (di Tencent) nella messaggistica, You Tube e Youku nei contenuti video generati dall’utente si stanno dividendo il mondo, anche se i colossi cinesi stanno solo ora uscendo dai propri confini.

Se vogliamo abbonarci a un giornale, comprare un libro o compiere ricerche su terra e cielo dobbiamo ormai passare per la California o per Shanghai, lasciando a queste reti enormi profitti, con i quali questi giganti onnipresenti si apprestano a conquistare il futuro di altri settori industriali, a partire dall’automobile senza conduttore o spinta da nuovi combustibili non inquinanti. Tutto questo avviene con impressionante rapidità e sta dando luogo ad un accumulo di risorse finanziarie talmente grandi da condizionare il futuro economico e politico del pianeta.

Eppure i Paesi europei non sembrano accorgersi di essere ormai in una trappola dalla quale possono uscire solo con uno sforzo enorme e concorde, mettendo assieme tutte le loro energie. In questi anni siamo arrivati perfino al punto di ostacolare la messa in moto e di centellinare poi le risorse del progetto europeo di comunicazione satellitare (il progetto Galileo) che ora arriva in ritardo non solo rispetto al Gps americano (in funzione da tanti anni) ma anche alla rete cinese, la cui costruzione procede a velocità spedita.

Siamo proprio così stupidi e così divisi da lasciare ai nostri figli e ai nostri nipoti un ruolo fatalmente subalterno non solo nel campo economico ma anche in quello politico e militare? Nessun Paese europeo (nemmeno la Germania) può infatti pensare di partecipare da solo a questa gara da cui dipende tutto il nostro futuro. Solo l’Europa unita lo può fare.

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