Subito l’asse Roma-Parigi contro il blitz di Berlino

di Giulio Sapelli
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Domenica 9 Agosto 2015, 23:24 - Ultimo aggiornamento: 23:55
L’editoriale di Romano Prodi pubblicato ieri sul Messaggero è destinato a rimanere una pagina fondamentale dell’antologia storica sul travaglio della storia dell’unità europea. Essa è da circa più di un decennio in pericolo sia sotto il profilo economico sia sotto quello istituzionale e soprattutto sotto quello politico, morale e culturale.

La causa di ciò risiede nei meccanismi istituzionali e regolamentari dell’Unione Europea. Questi ultimi, ossia i regolamenti, hanno via via travalicato gli stessi già imperfetti trattati, come dimostra l’incresciosa vicenda del famigerato tetto del 3% e del cosiddetto fiscal compact, imposto da commissari vicini ai tedeschi in un intreccio sempre più oscuro e drammaticamente lontano dalla legittimazione democratica.

Anche recentemente avevo stigmatizzato la decisione presa un anno or sono dalla Commissione - senza nessuna discussione democratica nel Parlamento Europeo - di affidare a Mario Monti una sorta di super ministero addetto a elaborare una sovrattassa europea. Decisione di una inaudita gravità e passata sotto subalterno e colpevole silenzio.

Ora Prodi prende di petto la questione e denuncia la volontà resa manifesta da Schaeuble, ossia dalla figura non più eminente ma più potente in Europa, di creare una più ampia struttura tecnica in guisa di sovra Commissione Ue e sovra Parlamento europeo a cui affidare i compiti più delicati nel campo della politica economica e sociale.



La denuncia di Prodi è rilevantissima e impressionante non solo per la lucidità tutta da condividere, ma anche perché promana da lui, già eminente presidente della Commissione e soprattutto influentissimo personaggio al centro di decisive relazioni economiche-istituzionali, fondate su un policentrismo tanto degli interessi quanto delle culture. E proprio questo policentrismo che Schaeuble mette in discussione. Egli sa che il sistema di pesi e di rilevanze sta franando in senso di accentramento e di aumento della carenza di legittimazione democratica. Invece del concerto delle nazioni europee si sta sostituendo il dominio teutonico sull’Europa intera.

Vi è qui una tradizione dell’intera storia tedesca che ora viene alla luce. Il cancelliere Bismarck dopo la vittoria di Sedan sulla Francia da parte tedesca (che segnò anche il massacro degli operai francesi insorti con la Comune di Parigi), implorò il Kaiser Guglielmo I di non trasformare quella vittoria in una tappa del domino tedesco sull’Europa intera combattendo sia a Occidente, ossia contro Francia e Gran Bretagna, che a Oriente contro la Russia zarista.

La Germania avrebbe sconvolto il precarissimo equilibrio europeo, ma quello stravolgimento avrebbe pure segnato la sconfitta della stessa Germania, come accadde con le due guerre mondiali del Novecento dai tedeschi promosse e dai tedeschi perdute. E sempre la Germania si risollevò grazie all’aiuto essenziale dell’Occidente, compresi gli Usa che su quelle operazioni di ricostruzione del continente europeo fondarono il loro dominio mondiale per lunghissimi anni. Bismarck è quindi tanto osannato quanto dimenticato. La ragione sta nel fatto che la specialissima conformazione culturale, prima che economica, dell’unificazione tedesca perduri con quello che io chiamo il pungiglione dello scorpione: punge a morte la rana che pur lo tiene a galla perendo con essa.

La sindrome del pungiglione è la vocazione tutta tedesca (e ora anche cinese) di fare da soli senza le altre grandi e medie potenze europee: Francia, Regno Unito e Italia. Le recenti vicende greche hanno disvelato il meccanismo vassallatico del domino tedesco: sono state le nazioni baltiche e quelle ex comuniste - Polonia in testa - a invocare la Grexit. E la Grexit voleva dire l’inizio del cammino del far da sé, mandando in sfacelo l’Europa. Se il Regno Unito uscisse definitivamente dall’Europa sarebbe una catastrofe, perché ciò che rimane dell’equilibrio di potenza andrebbe distrutto.

Senza il Regno Unito, Francia e Italia non riuscirebbero a reggere l’urto dell’alleanza svevo-baltica che si affaccia all’orizzonte. E con una Russia tanto disorientata quanto compiacente dinanzi a un’ipotesi di distruzione dell’unità europea. Per questo condivido l'appello di Prodi sulla necessità di costruire con coraggio un asse diplomatico che controbilanci, nel sistema di pesi e di rilevanze delle istituzioni europee, lo strapotere tedesco agognato da Schaeuble. Per queste ragioni ritengo che la proposta prodiana sia un passo nella giusta direzione. Egli ne sottolinea anche politicamente la necessità. Il passo nella giusta direzione non può che essere certamente il partire dalla Grecia per discutere dell’Europa come Matteo Renzi ha più volte affermato.

Ma non basta. L’Europa da sola non può più salvare se stessa. E la sua sopravvivenza come istituzione può solo essere raggiunta con la completa trasformazione in senso Confederale del suo trattato istitutivo, a iniziare dalla trasformazione della Bce secondo il modello Federal Reserve, con un Parlamento europeo più centrale rispetto a Commissione e Consiglio europeo. Occorre che Italia e Francia lavorino per dar vita a una conferenza internazionale sull’Europa e la sua riforma - a cui partecipino anche Usa, Russia e Cina - affrontando in tal modo anche le cruciali questioni del trattato Transatlantico Usa-Europa e senza dimenticare la riformulazione di una strategia militare complessiva. Contro il pericolo dell’Isis e contro la ripresa di una nuova guerra fredda tra Nato e Russia.

Occorre far rifiorire invece la Germania che amiamo, quella di Goethe il quale scriveva sulla necessità di unire classicismo e romanticismo ed Oriente e Occidente. Quella Germania parla ai cuori e alle menti. In essa non vi è posto per Schaeuble. L’Europa deve tornare ad essere cio che è: questione mondiale.