La democrazia “perfetta” al bivio
tra gli eredi di Palme e il populismo

La democrazia “perfetta” al bivio tra gli eredi di Palme e il populismo
di Luca Lippera
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Domenica 14 Settembre 2014, 16:22 - Ultimo aggiornamento: 22:05
Questa sera dieci milioni di svedesi si sono chiesti davanti alla tv se la vittoria annunciata dei socialdemocratici servir veramente a qualcosa. Il partito che fu di Olof Palme, il primo ministro ucciso nel 1986, quasi vent'anni fa, si appresta a tornare al timone del Paese dopo otto anni di opposizione al centrodestra. Ma molti si rendono conto che il risultato non cambier di una virgola l'umore di fondo della ex democrazia “perfetta”. I fortissimi timori e la confusione nati dall'immigrazione clandestina stanno regalando un risultato storico ai Democratici Svedesi, il partito dell'ultradestra, oltre la soglia del 10%, i quali potrebbero diventare ago della bilancia nella ex culla del benessere e della emancipazione scandinava.



Il successo dei socialdemocratici, alleati dei verdi e degli ex comunisti, potrebbe rivelarsi una vittoria di Pirro. Il raggruppamento, erede degli ideali egualitari e pacifisti di Olof Palme, ucciso misteriosamente nel 1986 (l'assassino non fu individuato e il Paese porta una cicatrice indelebile), ha ottenuto un risultato ragguardevole ma inferiore alle aspetattive. Il 45 per cento dei voti non gli basterà per avere una maggioranza autonoma di governo e si profila all'orizzonte una sorta di grande coalizione. Il partner nella guida della più grande democrazia scandinava potrebbe diventare proprio il Partito Moderato del premier, Fredrik Reinfeldt, uscito sconfitto dalle urne, e l'unica alternativa sarebbe un abbraccio fino a ieri impensabile e politicamente mortale con l'ultradestra. Il collante, in un caso e nell'altro, sarebbe la lotta all'immigrazione clandestina e al caos che ne sta derivando in un Paese dove tutto - anche le vite dei singoli - sembra perfetto, calmo, ordinato.



Il tema è sentito tanto a destra quanto a sinistra ma i Democratici Svedesi, guidati dal giovane Jimmie Akesson, lo hanno usato spregiudicatamente traducendo in voti le ansie, le paure e le aperte contestazioni di una parte dell'elettorato. «Il nostro stato asssitenziale - ha ripetuto senza sosta Akesson durante la campagna elettorale - è al collasso a causa del continuo afflusso di rifugiati. Tutto questo ci costa un sacco di soldi e non possiamo più sopportarlo. Dobbiamo mettere un freno all'ingresso degli immigrati oppure dirci chiaramente che non possiamo più permetterci le nostre conquiste».



Il punto, in fondo, è tutto qui. L'incubatrice della socialdemocrazia, complice una popolazione ridotta (solo dieci milioni di persone), ha raggiunto traguardi impensabili per gli altri paesi europei. La scuola, i trasporti, l'urbanistica, l'assistenza e la sanità - se usassimo il metro italiano - sono a livelli di assoluta eccellenza. Ma lo è anche il livello della tassazione e gli svedesi, non a caso rimasti fuori dall'euro, sono gelosissimi del sistema che sono riusciti a costruire nel corso dei decenni. I socialdemocratici, guidati da Stefan Lofven, 56 anni, ex sindacalista nel settore metallurgico, hanno messo al primo posto del programma il lavoro, l'istruzione e l'assistenza. Ma a Stoccolma il lavoro, l'istruzione e l'assistenza, nonostante qualche scricchiolio, non sono un problema, perché da queste parti i tagli, la crisi e le nostre incertezze sono una prospettiva che resta sullo sfondo. La democrazia “perfetta”, in realtà, ha paura di pedere quello che ha - moltissimo - e il risultato del voto dice che c'è grande incertezza sulla ricetta per tenere insieme tutta una storia.
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