Il successo dei socialdemocratici, alleati dei verdi e degli ex comunisti, potrebbe rivelarsi una vittoria di Pirro. Il raggruppamento, erede degli ideali egualitari e pacifisti di Olof Palme, ucciso misteriosamente nel 1986 (l'assassino non fu individuato e il Paese porta una cicatrice indelebile), ha ottenuto un risultato ragguardevole ma inferiore alle aspetattive. Il 45 per cento dei voti non gli basterà per avere una maggioranza autonoma di governo e si profila all'orizzonte una sorta di grande coalizione. Il partner nella guida della più grande democrazia scandinava potrebbe diventare proprio il Partito Moderato del premier, Fredrik Reinfeldt, uscito sconfitto dalle urne, e l'unica alternativa sarebbe un abbraccio fino a ieri impensabile e politicamente mortale con l'ultradestra. Il collante, in un caso e nell'altro, sarebbe la lotta all'immigrazione clandestina e al caos che ne sta derivando in un Paese dove tutto - anche le vite dei singoli - sembra perfetto, calmo, ordinato.
Il tema è sentito tanto a destra quanto a sinistra ma i Democratici Svedesi, guidati dal giovane Jimmie Akesson, lo hanno usato spregiudicatamente traducendo in voti le ansie, le paure e le aperte contestazioni di una parte dell'elettorato. «Il nostro stato asssitenziale - ha ripetuto senza sosta Akesson durante la campagna elettorale - è al collasso a causa del continuo afflusso di rifugiati. Tutto questo ci costa un sacco di soldi e non possiamo più sopportarlo. Dobbiamo mettere un freno all'ingresso degli immigrati oppure dirci chiaramente che non possiamo più permetterci le nostre conquiste».
Il punto, in fondo, è tutto qui. L'incubatrice della socialdemocrazia, complice una popolazione ridotta (solo dieci milioni di persone), ha raggiunto traguardi impensabili per gli altri paesi europei. La scuola, i trasporti, l'urbanistica, l'assistenza e la sanità - se usassimo il metro italiano - sono a livelli di assoluta eccellenza. Ma lo è anche il livello della tassazione e gli svedesi, non a caso rimasti fuori dall'euro, sono gelosissimi del sistema che sono riusciti a costruire nel corso dei decenni. I socialdemocratici, guidati da Stefan Lofven, 56 anni, ex sindacalista nel settore metallurgico, hanno messo al primo posto del programma il lavoro, l'istruzione e l'assistenza. Ma a Stoccolma il lavoro, l'istruzione e l'assistenza, nonostante qualche scricchiolio, non sono un problema, perché da queste parti i tagli, la crisi e le nostre incertezze sono una prospettiva che resta sullo sfondo. La democrazia “perfetta”, in realtà, ha paura di pedere quello che ha - moltissimo - e il risultato del voto dice che c'è grande incertezza sulla ricetta per tenere insieme tutta una storia.
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