“Pino”, tra i maggiori esploratori di forre e canyon al mondo, ha visto chiudersi il cielo sopra di lui nella serata di sabato (ora locale) quando, sotto la potenza della seconda ondata sismica, una valanga di pietre, neve e ghiaccio ha sommerso il piccolo agglomerato di Langtang, abbarbicato alla montagna. Per due notti e un giorno ha vegliato Gigliola, forse morta sul colpo, forse dopo aver agonizzato per le ferite. Poi, verso le 11 di ieri, è riemerso dall'apocalisse e ha chiamato in Italia con un satellitare di fortuna. «Sono vivo, sto bene. Ma Gigliola non ce l'ha fatta».
IL SOPRANNOME
Antonini, detto “Astigo”, Gigliola Mancinelli soprannominata “Rita Levi Montalcini” in ospedale per il suo scrupolo e la sua sapienza medica, facevano parte del team che avrebbe dovuto esplorare le spaccature dell'Himalaya, attrazione speleologica di Langtang. Con loro Oskar Piazza, il trentino a sua volta recuperato senza vita, e il genovese Giovanni Pizzorni, ferito. I quattro, amici e compagni di avventure, si trovavano tutti nello stesso lodge. Arrivati in Nepal il 15 aprile, sabato si sarebbero dovuti calare in uno dei complessi ipogei della zona. Ma il tempo era brutto. «Restiamo nel rifugio» ha detto Antonini alla fidanzata Paola Santinelli, rimasta in Italia. Lì, in quei fragili gusci ai piedi dei pilastri del mondo, li ha sorpresi la furia del sisma. Non ha retto nulla, dicono testimoni sul posto. Langtang è un paese cancellato dalle carte geografiche.
Ad Ancona lo strazio è tutto nelle parole di mamma Romilda: «La felicità per mio figlio Pino non riesce a riempirmi il cuore. Per me anche Gigliola era una figlia. La conoscevo da 30 anni, veniva in casa mia quasi ogni giorno. Una persona generosa. Impossibile non volerle bene». La vita della Mancinelli, separata, due figli di 15 e 10 anni, era divisa tra l'ambiente asettico della sala di rianimazione e gli scenari più aspri degli ambienti naturali. Nel 2009, unica dottoressa con il brevetto del Soccorso Alpino, aveva inaugurato la base Sar di Fabriano. Ovvero un eliporto in cui l'eliambulanza del 118 si alza per missioni in territorio ostile. «Abbiamo imparato da lei - dice il dirigente Germano Rocchi -. Una collega preparatissima, grintosa, piena di coraggio. Quando si trattava di salvare qualcuno, non si tirava mai indietro. Io ho fatto delle missioni in Afghanistan, e con lei scherzavo spesso: “Dai, vieni sugli elicotteri in zona di guerra. Vediamo se almeno là ti viene paura”».
UN SMS PER PARTIRE
Iscritta al Gruppo Speleologico del Cai di Ancona, aveva esplorato, scandagliato, visitato ogni buco della terra nelle Marche. Conosceva le grotte di Frasassi (Genga) come le sue tasche. Qualche anno fa il suo guru Pino Antonini l'aveva aggregata ad alcune spedizioni in Spagna, Francia, Austria. «Hai la stoffa per andare oltre» l'aveva incoraggiata lui. Ed ecco il grande salto nei santuari della speleologia mondiale. Lei dava l'anima in ospedale e sulle eliambulanze, nei fine settimana si addestrava sulle pareti di roccia. Nel 2015 mission impossible in Germania: con altri colleghi era riuscita a salvare uno speleologo incastrato in un budello di roccia a mille metri di profondità.
Il viaggio a Langtang non era routine, ma quasi. Il team era preparato a tutto, non alla montagna disintegrata dal terremoto. «Ci teneva tanto ad andarci - prosegue Germano Rocchi -. Ho ancora sul cellulare l'sms con cui mi chiedeva di cambiare turno». Appena rimbalzata la notizia della morte Roberto Antonini, fratello di Giuseppe, è corso a stare vicino ai suoi bambini.