Dopo la Scozia/ La Catalogna, l’altra spina nel fianco dell’Europa

di Giulio Sapelli
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Lunedì 29 Settembre 2014, 22:51 - Ultimo aggiornamento: 30 Settembre, 01:01
ormai incontrovertibile il giudizio che storicamente si d sul Trattato di Versailles, siglato subito dopo la fine della prima guerra mondiale.

Uno dei significati generali di quel trattato fu la ratifica della scomparsa dei grandi imperi che avevano governato l’equilibrio europeo: quello zarista, quello austro-ungarico, quello ottomano. L’impero inglese ne uscì invece vittorioso unitamente all’ascesa che in contemporanea ebbero su scala mondiale gli Stati Uniti d’America. Ma per il contestuale emergere degli stessi, nel corso della seconda guerra mondiale quel Trattato non fu più in grado di svolgere un ruolo decisivo sull’equilibrio di potenza europeo. Svolse però un ruolo decisivo per sconfiggere la Germania hitleriana grazie alla colossale leadership che fu di Winston Churchill. Ma questo è tutt’altro discorso.



La situazione attuale dell’Europa è assai simile a quella del dopo Versailles. È crollato circa vent’anni or sono un nuovo impero, quello sovietico, e nessun equilibrio di potenza si è ad esso sostituito, come dimostra la crisi ucraina, dinanzi alla quale l’Europa non ha svolto nessun ruolo per contestare almeno l’impulso disgregatore degli ex-stati un tempo dominati dall’impero sovietico. Essi puntano ora a punire la Russia, e di fatto a scatenarne talune mire revansciste, esaltando all’inverosimile un principio di nazionalità, anzi di nazionalismo che è l’opposto di ciò che auspicava il martire della Resistenza francese Jean Moulin.



E insieme a Moulin gli antifascisti Altiero Spinelli, Ernesto Rossi, Eugenio Colorni oltre ai grandi Schuman, Adenauer, De Gasperi. Il vento è cambiato. Mi si deve spiegare come si può unificare l’Europa dopo aver creato una moneta senza stato, come si può unificare l’Europa nel contesto di un rigurgito dei nazionalismi che vanno dalla Polonia agli stati baltici passando per ciò che rimane di una Jugoslavia esplosa in una miriade di rispettabilissimi ma piccoli stati. Il fatto che si sia dinanzi a una tensione che non rassicura sulla tenuta dell’Europa è dimostrato dalla recente vicenda scozzese. Certo, il Regno Unito ha vinto, ma di stretta misura. E la mia convinzione è che chi ha vinto veramente è la monarchia inglese, con tutto ciò che essa rappresenta, non solo per l’Inghilterra ma anche per il Canada fino all’Australia. Si parla di ultimo impero: noi speriamo non sia l’ultimo, isolato baluardo della civilizzazione.



Tiriamo le fila. Non è un caso che il Regno Unito non abbia completamente aderito al disegno europeo. Non si tratta soltanto di una faccenda monetaria, così come se ne discute nei bassifondi dell’economia politica e nelle riunioni dei professori di scienza degli intermediari finanziari (sic!). La prova di quanto dico la si trova oggi nella penisola iberica, nel cuore pulsante economico e civile di essa: la Catalogna. Un mio maestro e collega all’Ecole des Hautes Etudes di Parigi, uno dei più grandi storici mondiali, Pierre Villar, dedicò alla Catalogna studi magistrali che illustravano magnificamente ciò che oggi è dinanzi ai nostri occhi. Ossia una nazione identitaria e culturale che da sola fa il 20% del Pil spagnolo, che con il suo illuminismo massonico ha combattuto sempre non solo l’Inquisizione spagnola, ma l’arretratezza di una Spagna che dopo la sua perdita dell’impero sudamericano, a favore degli Usa nella guerra di Cuba del 1896, seppe indicare non solo ai catalani, ma anche ai castigliani, ai galiziani e a tutti gli altri popoli dello stato spagnolo la via del riscatto e della rinascita, non più imperiale ma quanto meno nazionale. Per questo lo scontro che oggi si è aperto tra il governo del centro-destra popolare spagnolo e coloro che dalle terre catalane desiderano decidere con la democrazia diretta del referendum se conservare o meno l’unità giuridica dello stato spagnolo, fa sì che questa vicenda non sia catalana né spagnola ma sia una vicenda europea e che bene si inserisce nella crisi di natura nazionalistica dell’odierna Europa.



Se la Catalogna abbandonasse la Spagna, quest’ultima decadrebbe economicamente, culturalmente, politicamente, anche se la cultura castigliana e tutte le altre che danno vita allo stato plurinazionale spagnolo continuerebbero beninteso ad agire beneficamente. Diciamolo chiaro, però. Il solo fatto che la Catalogna pensi di dividersi dalla Spagna non è un problema spagnolo: è problema europeo per eccellenza, problema di un’Europa che non sa più cosa essere. Federale? Ossia unione di regioni culturalmente ed economicamente definibili? Confederale? Ossia unione di nazioni intese come comunità di destino? Ricordiamo il periodo dopo la prima guerra mondiale. I nazionalismi non portano con sé la crescita economica, ma i protezionismi, le svalutazioni competitive che alimentano l’inflazione, la lotta fratricida tra europei. L’Europa è in pericolo, quindi. Perché non ha nessun ideale da offrire di fronte a un rinascente nazionalismo. Non si fraintendano le cose, tuttavia. La Catalogna, nazione lo è. E il miracolo spagnolo è quello di uno stato con più nazioni. Ora più null’altro che un ragionamento economico può essere usato per indurre i catalani a non lasciare lo stato. Non c’è una monarchia simile a quella del regno Unito e questa è la questione fondamentale. Altrettanto fondamentale è il fatto che l’Europa non riesca ad esprimere una metafisica unificante, ossia a proporsi come unità di destino. La ragione è semplice. L’Europa invece di essere condivisione di sovranità è stata, a causa dell’ottusa egemonia tedesca crescente, sottrazione di sovranità. E sottraendo, ossia mortificando e umiliando, nessuna unità può raggiungersi, Catalogna o non Catalogna.