Guerra dell'avorio, i bracconieri uccidono Satao: l'elefante più vecchio dell'Africa

Guerra dell'avorio, i bracconieri uccidono Satao: l'elefante più vecchio dell'Africa
di Alessandro Di Giacomo
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Domenica 14 Settembre 2014, 17:03 - Ultimo aggiornamento: 17 Settembre, 21:19


Kenya, prime ora del mattino del 30 maggio scorso. L’aereo pilotato da Richard Moller, Chief Executive Officer della Tsavo Trust, sta sorvolando un’area remota dello Tsavo East National Park alla ricerca del grande elefante che da diciotto mesi stanno monitorando; Satao, un pachiderma considerato dal National Geographic “monumento vivente” dell’Africa orientale. D’un tratto, in un’area arsa, il pilota del Piper PA-18 Super Cub vede la carcassa massacrata di un elefante enorme: intuisce quasi immediatamente cosa hanno scoperto, ma la notizia è data al mondo solo il 13 giugno, dopo i rilievi antropometrici.




Coricato sul ventre, le zampe anteriori divaricate come crocifisso, col muso maciullato per strappargli le zanne, quello che hanno trovato è purtroppo proprio il cadavere di Satao. Con la sua uccisione, i bracconieri non hanno soltanto ucciso uno dei più meravigliosi esemplari esistenti, aveva 45 anni, ma hanno profanato l’intero continente africano. Satao era un copostipite, un grande maschio che aveva attraversato tutta l’Africa, con la sola colpa di avere due enormi zanne e una sete che a causa della siccità di quel periodo lo aveva spinto spinto fino ai confini più battuti dai bracconieri.

Ogni anno in Africa vengono uccisi oltre 35.000 esemplari di elefanti e oltre 1.000 di rinoceronti. Un massacro inaccettabile, che va interrotto perché patrimonio dell’umanità: aver ucciso Satao è come aver bruciato un quadro di Michelangelo.

Di Satao si è detto tutto, ma da una morte data dall’uomo può partire la storia di una vita salvata dall’uomo: Vuria, un elefantino reso orfano dai bracconieri e salvato da guide professioniste di safari italiane. “All’inizio del 2013 – racconta Massimo Vallarin, una delle più esperte guide italiane professioniste in Africa - mi trovavo con degli ospiti in un safari nella riserva privata di Lualenyi dove sorge l'omonimo campo tendato di Davide Gremmo in Kenya, grande circa 400 kmq al confine con lo Tsavo West National Park, nell’area delle Taita Hills, montagne ricoperte da foresta nebulosa. Vicino ad una pozza d’acqua trovammo un cucciolo di elefante di circa un anno palesemente malmesso, certamente reso orfano dal bracconaggio. D’accordo con i miei ospiti, restammo ad osservarlo e notai che tentava di aggregarsi ai branchi che venivano ad abbeverarsi, ma nessuno lo accoglieva”.

Vallarin sa che questo vuol dire morte certa per il cucciolo entro quella notte stessa: i grandi predatori africani ne faranno facilmente banchetto. Decidono di presidiarlo, anche col buio. Alla fine intuisce che l’unica via di salvezza per il cucciolo è chiamare il team della The David Sheldrick Wildlife Trust, un’organizzazione kenyana gestita da Madame Daphne Sheldrick, moglie di colui che fu il primo guardiano dello Tsavo East National Park nel 1948; David Sheldrick
L'organizzazione, che recupera principalmente gli orfani di elefanti e rinoceronti li accudisce fino al raggiungimento delle condizioni per reinserirli nel loro habitat naturale.

Il cucciolo è ovviamente come un bambino, non vuol stare alle regole, seppure a suo vantaggio. Vallarin e il team si cimentano in un non facile placcaggio: seppure denutrito è comunque un allegrone di 500 kg che non vuol stare fermo ad aspettare. Con quello che hanno, supportati da Gremmo, alla fine lo immobilizzano.

“In sole 7 ore è arrivata un pick up da Voi, la main entrace del Parco tra Nairobi e Mombasa. L’abbiamo caricato di peso per portarlo alla più vicina pista di atterraggio in quel tratto di savana, dove poco dopo è arrivato un Cessna Caravan della Scheldrick Wildlife Trust, appositamente adattato al suo trasporto, che lo ha preso e portato nel loro orphanage vicino a Nairobi”.

Nella nursery all’elefantino è stato dato il nome di Vuria, la cima più alta delle Taita Hills (2.209 metri) alle pendici delle quali è stato trovato. Da allora è trascorso più di un anno ed oggi si trova a Voi, nel percorso di recupero tra la cattura ed il rilascio. Vuria sta lentamente riprendendo confidenza con gli spazi aperti e la sua stessa specie animale, dopo tanto tempo trascorso in un’innaturale (stavolta salvifico) stretto rapporto con l’uomo.

“In seguito non ho potuto sottrarmi ad adottare a distanza Vuria –dice Vallarin- ed oggi lo sostengono con me tanti amici italiani e non. Voglio pensare che nelle vene di Vuria scorra un po’ del sangue di Satao”. Ma non è tutto: “Sostenere organizzazioni come la Scheldrick Wildlife Trust è importante per noi guide professioniste, perché collaborano a mantenere vivo l’ambiente a cui abbiamo dedicato la vita e che teniamo a trasmettere agli amici che si affidano a noi per avvicinare questi luoghi unici. La strage di questi meravigliosi animali deve essere fermata. Ora siamo da giorni sulle tracce di una femmina solitaria col piccolo molto malata – conclude Vallarin - e dobbiamo trovarla prima che la intercettino i cacciatori di frodo. Ormai è guerra aperta coi bracconieri“.