I rapper della jihad: i combattenti cantano il loro odio e qualche volta lo vendono su Itunes

I rapper della jihad: i combattenti cantano il loro odio e qualche volta lo vendono su Itunes
di Giulia Aubry
4 Minuti di Lettura
Venerdì 22 Agosto 2014, 17:18 - Ultimo aggiornamento: 18:47

L’ultimo in ordine di arrivo Abdel-Majed Abdel Bary. La stampa musicale britannica lo aveva definito “uno degli artisti hip hop da tenere d’occhio nel 2012”, e dopo le immagini recentemente pubblicate sul suo canale twitter mentre in territorio siriano mostra una testa mozzata, mai definizione sarebbe potuta essere più pertinente.

I suo video, pubblicati su Youtube con il nome d’arte di L Jinny, sono ancora online ma i testi delle sue canzoni non hanno nulla a che vedere con la scelta jihadista compiuta ormai da oltre un anno. Anzi, al momento della sua adesione alla “lotta per la restaurazione del califfato”, il ventitreenne britannico ha dichiarato di voler abbandonare l’hip-hop.

Diversamente – e con qualità musicale decisamente inferiore - aveva fatto, prima di lui, Omar Hammami, cittadino statunitense cresciuto in Alabama ma arruolatosi a 22 anni nelle file del movimento islamista Al-Shabaab in Somalia.

Conosciuto anche come “il rapper della jihad”, ha pubblicato con il nome di battaglia Abu Mansoor al-Amriki una serie di canzoni rap di dubbio gusto, ma dai titoli inequivocabili. In “Blow by blow” Omar dichiara che «bomba dopo bomba, esplosione dopo esplosione, torneremo al nostro glorioso passato».

In “Make Jihad with Me” invita i suoi – pochi – fan ad attaccare l’America adesso, «martirio o vittoria. Stiamo conquistando da Nairobi ad Addis Abeba e questo è il Paradiso. Vieni fratello musulmano, porta i tuoi soldi o la tua vita».

Un destino beffardo ha fatto sì che Omar Hammami trovasse la morte per mano dei suoi stessi compagni di militanza nel settembre 2013, dopo aver sognato nella sua ultima canzone “Send me a Cruise” che fosse un missile americano a ucciderlo: «mandatemi quattro missili e ancora di più, questo è ciò che vi imploro. Desidero e bramo un martirio spettacolare».

In un video girato qualche mese prima e pubblicato su Youtube aveva dichiarato di essere in pericolo poiché all’interno del movimento Al Shabaab erano in corso scontri sulle strategie da attuare per l’applicazione della Sha’ria.

Ma non c’è bisogno di cercare nel deep web o nelle produzioni amatoriali i messaggi jihadisti rappati. Su Itunes infatti è possibile acquistare l’album degli M-team, gruppo musicale portoricano con base a Brooklyn, dal titolo Clash of Civilizations. M sta per Mujahideen e il livello del loro rap è altamente professionale e, persino, gradevole musicalmente parlando.

Alcune delle loro canzoni appaiono però inquietanti e fanno riferimento, in termini di glorificazione, all’11 settembre: «Oggi è il giorno della ricompensa! Oggi è il giorno del jihad! Oggi è il giorno della vittoria o del martirio, quindi tutti voi che credete alzatevi e siate pronti con le vostre armi… cacciate l’oppressore, prendete le loro vite (…) La rivoluzione, l’esecuzione degli infedeli, la vera soluzione, il giorno della ricompensa!».

Ma il rap jihadista più diffuso e virale sul web è senza dubbio quello del gruppo musulmano britannico Sheikh Terra dal titolo “Dirty Kuffar”, ovverosia “Sporco Infedele”.

Sin dal momento della sua prima pubblicazione, che risale ormai al 2004, Dirty Kuffar è stato scaricato su milioni di computer e ne sono state pubblicate diverse versioni remixate. Il video si apre con le immagini trasmesse dalla CNN di alcuni soldati statunitensi che uccidono un iracheno e poi festeggiano, e continua alternando immagini di combattenti islamici dalla Bosnia alla Cecenia passando per Afghanistan e Medio Oriente, i volti dei leader politici internazionali - come Tony Blair, Ronald Reagan, George W. Bush, Ariel Sharon, Hosni Mubarak e Musharraf – e i membri del gruppo rap con i visi coperti dai passamontagna e i mitra in mano.

Nel 2007 il Daily Telegraph scrisse che molti testimoni avevano dichiaro che gli attentatori del 21 luglio a Londra avessero visto il video poco prima di compiere il loro gesto estremo.

E partendo proprio dall’analisi e diffusione di Dirty Kuffar molti analisti hanno ipotizzato che la contaminazione tra l’hip-hop e la cultura islamica delle seconde generazioni potesse essere utilizzata come strumento di reclutamento dei più giovani alla causa jihadista in Europa e negli Usa.

Un’analisi che trova conferma nell’utilizzo che Al-Shabaab continua a fare delle canzoni di Omar Hammami nei suoi video propagandistici e di alcuni video prodotti, e distribuiti clandestinamente, nei sobborghi di Parigi, di Londra o in Germania.

Jessica Stern, studiosa di Harvard, ha intervistato alcuni giovani musulmani di prima e seconda generazione in Olanda per una ricerca sulla radicalizzazione islamica. Molti di questi ragazzi hanno associato jihad e hip-hop come qualcosa di ugualmente “cool” nel loro immaginario personale.

Secondo alcuni giornali europei e statunitensi si starebbe addirittura pensando di promuovere un “hip-hop musulmano moderato” per contrastare quello che, proprio con la pubblicazione di Dirty Kuffar, è stato definito come “il rap dell’odio musulmano” e che si diffonde sempre di più grazie ai social media e agli smartphone. Il contrasto ai pericoli insiti nel fondamentalismo passa anche da qui.