Dai profughi alla guerra all'Isis, il sospiro di sollievo dell'Europa

Dai profughi alla guerra all'Isis, il sospiro di sollievo dell'Europa
di Marco Ventura
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Sabato 21 Novembre 2015, 00:18 - Ultimo aggiornamento: 2 Novembre, 07:59
ROMA - Basta andare a spulciare nei documenti finali degli ultimi Consigli Europei per ritrovare toni distensivi e benevoli nei confronti della Turchia di Recep Tayyip Erdogan e capire che senza Ankara, senza il sostegno e l'amicizia del Sultano, i problemi del Medio Oriente si riverserebbero sull'Europa con il loro carico di profughi e di guerre capaci d'infettare tutto il Mediterraneo e minare la sicurezza delle nostre città. Ecco perché a dispetto delle dichiarazioni ufficiali e delle posizioni contro Erdogan espresse dalla gran parte dei media internazionali, nelle cancellerie europee il risultato delle elezioni turche viene vissuto con una sorta di pragmatico sollievo. Basti pensare ai profughi siriani ai quali la Turchia ha dato provvisoriamente asilo, quasi 2 milioni e 200mila.

LA VALANGA DI FUGGIASCHI

Una valanga umana che Erdogan ha abilmente fatto pesare nelle trattative con l'Unione, e quantificato in un prezzo di 8 miliardi di euro in 4 anni. Ma non è solo l'equilibrio demografico di tutta l'area a dipendere dalla disponibilità della Turchia a assorbire centinaia di migliaia di fuggiaschi. Quando Erdogan ha conquistato il potere, nel 2002, l'Europa aveva invano combattuto al proprio interno per accogliere la Turchia nell'Unione. Roma tradizionalmente era a favore, Parigi contraria. E la sconfitta in Turchia dei laici kemalisti ha avuto fra le sue cause l'indecisionismo dell'Europa a far entrare Ankara nella Ue. Erdogan si è presentato al popolo come l'uomo integerrimo, religioso, ma anche riformatore in economia, che avrebbe restituito alla Turchia prosperità e prestigio. Peccato che i primi passi nella politica estera abbiano portato invece alla rottura di vecchi legami visti a Occidente come molto positivi: per esempio quello, storico, con Israele.



PILASTRO DELLA NATO

La Turchia di Erdogan ha avuto un ruolo controverso nel sostegno all'Isis, se è vero che attraverso la frontiera con la Siria sono passati molti foreign fighters. Turchia e Qatar hanno dato sostegno alle formazioni islamiste radicali non solo in Siria, in chiave anti-Assad per Ankara, ma anche in Libia dove Erdogan e l'Emiro di Doha appoggiano il governo illegittimo di Tripoli. Erdogan ha mostrato poi di voler correggere la rotta in politica estera ordinando raid aerei contro l'Isis (anche indirizzati contro i guerriglieri curdi che operano in Siria). La vittoria, anzi il trionfo, del Sultano garantiscono all'Occidente una continuità di rapporti con un leader che da 14 anni domina la scena politica di un Paese che continua a essere un pilastro della Nato. Anche nell' incontro con Angela Merkel, il Sultano aveva messo in chiaro di essere lui il garante della stabilità in Turchia (specie dopo l'attentato del 10 ottobre con 102 morti a Ankara). Erdogan ha avuto il coraggio di aprire al negoziato con i curdi del Pkk, con Ocalan che ricordiamo ospite a Roma in una villa dell'Infernetto, protagonista di una delle più complesse crisi diplomatiche attraversate dall'Italia prima che rocambolescamente fosse riportato in Turchia e imprigionato. Tentativo di pace, quello di Erdogan, che si è infranto sulla dura realtà di un partito che unendo la sinistra e la causa curda ha minato il 7 giugno la forza elettorale del Sultano. È probabile ora che forte della maggioranza assoluta in Parlamento, Erdogan lanci un'offensiva parlamentare per conquistare i 15 seggi in più necessari per varare la riforma della Costituzione.