L'orrore condiviso/ Cambio rotta di Bruxelles

di Paolo Graldi
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Lunedì 20 Aprile 2015, 22:26 - Ultimo aggiornamento: 21 Aprile, 00:16
Dieci punti, da mettere in atto senza indugi, con la determinazione che l’emergenza esige. La forza dei fatti, impone ai partner comunitari la linea della fermezza e della corresponsabilità. C’è, nell‘immane tragedia sotto i nostri occhi, il barlume di un cambio di rotta della Ue, una visione pseriamo diversa e condivisa della catastrofe umanitaria in divenire, che implica la partecipazione dell’intera Comunità.



Speriamo che non passi più la strategia della ritirata rassegnata. Prima di tutto, ordine categorico, affondare i barconi, le carrette del mare, fragile ponte verso le coste della salvezza. Tagliare i “ponti” sul mare diviene ora imperativo urgente e da giovedì il vertice dei ministri degli Esteri darà il via libera a questa nuova linea di condotta. L’evidenza del dramma più forte dei calcoli e delle convenienze. I fatti. Era scritto, era chiaro: non serviva immaginare l’inferno per capire che sarebbe comparso nelle acque profonde davanti alla Libia, di fronte alla Sicilia, per inghiottire migliaia di fuggiaschi dalle guerre e affamati di cibo e di futuro, così come è evidente che accadrà ancora, che sarà sempre peggio. Il Mare Monstrum ci porta il dramma epocale ed esplosivo dell’immigrazione di massa e delle sue innumerevoli vittime sacrificali, scuote le coscienze, richiama governi riluttanti e miopi alle proprie responsabilità, impone di aggredire l’indifferenza per dispiegare, nella sua vasta complessità, l’intera questione. Gli annegati e la loro speranza spezzata gridano con il silenzio dei morti che il tempo della solidarietà parolaia è finito.



Gli sbarchi continui su tutte le sponde accessibili, i continui naufragi per l’atroce incontinenza criminale delle bande di commercianti di carne umana, l’attesa spasmodica di centinaia di migliaia di disgraziati sospinti dalla fame e dai conflitti disegnano uno scenario che va ben oltre l’emergenza vista e vissuta fin qui. Così, accanto alle tragedie in un mare che si lascia blandire traghettando uomini, donne e bambini ma poi diviene implacabile abisso, si pongono problemi urgenti, tutti racchiusi in una domanda di due sole parole: che fare? È crudelmente paradossale constatarlo: le vittime moltiplicano i riflettori sulla ampiezza del problema, mettono in cruda evidenza che non può essere un problema solo di chi accoglie uomini e bare, ma un nodo umanitario, politico, diplomatico e al fine anche militare che interpella l’intera comunità. La fermezza con la quale l’Italia ha chiesto all’Europa di prendersi la sua parte di peso è un primo passo; sarà inevitabile pretendere risposte chiare e impegnative di reale sostegno.



Adesso, tutti, ne sappiamo abbastanza per tracciare una strada fatta di determinazione e di comunione d’intenti. Chi si tira fuori da questa partita, per puro calcolo, per misera, avara meschineria, dovrà pagarne un prezzo altissimo. Mille scafisti, manovalanza usa e getta, sono in carcere, cento processati in primo grado. La fase della macchina giudiziaria darà quel poco che può ma in questi ultimi tempi si è già saliti di livello, si è andati a toccare i capi di una organizzazione che si fa chiarendo nelle sue mille ramificazioni. Si capisce come le masse di disperati vengono convogliate fin dal centro dell’Africa, verso campi di raccolta, come siano spremute di ogni avere, di come i trafficanti spremano ogni loro avere promettendo quella traversata che porta alla speranza di una vita da vivere. Poi i viaggi.



Qualcuno con l’approdo, chissà quanti altri verso gli abissi. Ma i macellai di uomini vivi hanno nomi e cognomi. Sono ricchi, vivono in Libia, in Egitto, in altri paesi costieri. Si sa dove sono. Usano telefoni satellitari capaci di individuarli anche al bar dove aspettano di affastellare corpi sui loro improbabili barconi.



Li avviano appena fuori dalla costa e poi chiedono il nostro soccorso. Il quale, con Mare Nostrum dapprima e ora con Frontex e Triton accorre, soccorre e salva, dove e come può. Ma non è in mezzo al mare, nel trasbordo pericoloso su navi non attrezzate e con equipaggi inesperti, che si deve cercare l’approdo verso la salvezza. Presto, nei prossimi giorni, prenderanno corpo decisioni in via di rapida maturazione. Azioni verso i campi profughi, distinguendo possibilmente chi sta fuggendo da guerre e dunque ha un diritto internazionale d’asilo da chi spera solo in una esistenza depurata dalla pura della morte immanente. Il governo sembra credere nella possibilità concreta di una missione su queste linee guida. Poi c’è la via della repressione. Tagliare le piante di cocaina per tagliare le gambe ai trafficanti, si diceva una volta sul fronte della droga.



Togliere di mezzo le barche, affondare gli scafi nei porti, distruggere la flotta dei mercanti di esseri umani attraverso operazioni di polizia miratissime, senza scarponi militari sul terreno, con l’appoggio della intelligence nostrana che ha buone orecchie e lunghi sguardi su molti territori infestati da questo male.



Con la collaborazione di Egitto e Tunisia (ma anche la Turchia potrebbe dare una grossa mano), altri scafi verranno resi inservibili. Che ci sia una crisi nelle scorte pronte all’uso di questi ponti galleggianti è evidente, tanto che per riportarli a casa dopo i trasbordi in mare aperto, i mercenari non hanno esitato a minacciare l’uso delle armi contro i soccorritori, un ventre molle che va inciso chirurgicamente, con assoluta determinazione, con il contributo della Comunità e sotto la bandiera dell’Onu, sempre che questa determinazione non resti di facciata. L’istituzione di corridoi umanitari diviene in tal modo centrale, indispensabile, essenziale al successo di questa difficile campagna.



Chi ha ingenuamente sperato che il fenomeno si esaurisse o fosse gestibile ha commesso un grave errore di prospettiva; è mancata quella lucida lungimiranza per la quale, oggi, c’è chi paventa con qualche argomento previsionale attendibile, che le masse di disperati andranno moltiplicandosi e che la sola idea di avere una possibilità su mille di farcela spingerà centinaia di migliaia di sventurati a giocarsi la scommessa. Ci sono stati ritardi, non solo e non tanto nel capire il fenomeno, quanto nelle sue autentiche implicazioni criminali, all’interno di un quadro geo-politico in rapido mutamento verso il peggio.



La situazione in Libia dimostra l’ingestibilità di contesti ormai fuori controllo. Per non dire dell’irrobustirsi delle milizie dell’Isis. La guerra agli schiavisti sosterrà giovedì, al Consiglio d’Europa e nella riunione dei ministri degli Esteri della Comunità un primo importante esame, la ratifica urgente della guerra senza quartiere agli scafisti e la distruzione degli scafi. Forse, partendo da qui, la voce dell’Ue, diviene coro d’intenti condivisi.