Il nuovo asse sulla Grecia per favorire la svolta Ue

di Giulio Sapelli
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Lunedì 2 Febbraio 2015, 23:23 - Ultimo aggiornamento: 3 Febbraio, 00:09
Barack Obama ha rotto una tregua che durava da tempo con la Germania e l’ha sfidata in campo aperto sui temi dell’austerità. Ha affermato che non si può distruggere la coesione sociale di una nazione - e il riferimento era ovviamente la Grecia - e che la cura è stata peggiore del male: l’austerità ha distrutto ogni possibilità di crescita e occorre quindi fare un passo indietro e ripensare tutta la politica europea. Il Fondo monetario internazionale ha a sua volta fatto circolare la voce che i suoi dirigenti sono d’accordo con le dichiarazioni del presidente americano e che perciò si apprestano a tendere la mano ai vincitori di Syriza. Del resto la Grecia è, insieme alla Turchia, l’asse portante del fronte sud della Nato. Il problema oggi non è certo più l’Urss, ma è pur sempre la Russia con la quale si è aperto un fronte di scontro sia in Ucraina sia in Crimea e quindi proprio ai confini dello stesso fronte Sud della Nato, fronte - altra nota da tenere a mente - che non dispone più di quel sicuro antemurale costituito dalla Turchia. Quest’ultima sempre più tentata, invece, da un ruolo autonomo e neo-ottomano che ha profondamente influito anche sulle difficoltà militari della Nato nel corso delle ultime disperate e inefficaci avventure nel Medio Oriente contro gli scismatici islamisti.



Ebbene, la Russia ha con la Grecia strettissimi legami economici e appare, nonostante la pesante recessione che attraversa, un partner assai pronto a sostituirsi all’Ue se si trattasse di salvare la Grecia da una difficile situazione finanziaria.



Ciò a fronte del dignitoso rifiuto di ottenere nuovi prestiti dalla Troika e di chiedere una dilazione del debito. Se i tedeschi continueranno a fare (a differenza dei francesi) la faccia dura ripetendo la loro solita litania, la Russia è pronta, di contro, ad agire. Un’eventualità che ovviamente preoccupa i tedeschi e in primis la cancelliera Angela Merkel che, in relazione alla Russia, sta giocando nel suo Paese e sul piano internazionale una partita difficilissima.

Da una parte infatti deve mantenere aperto un canale diplomatico verso quello che da sempre è uno spazio vitale per la Germania; dall’altra non deve cadere nella trappola dell’isolamento nei confronti di un’Europa che sente il richiamo delle sanzioni sotto la spinta sia dell’odio nei confronti della Russia da parte dei Paesi a ex dominazione sovietica, sia dei maggiori fautori dei cosiddetti principi umanitari anche in politica estera, con le conseguenze devastanti che abbiamo visto durante le cosiddette primavere arabe e le improvvisate primavere georgiane e ucraine.



Il caso greco diventa quindi un campo di scontro, da un lato, tra i principi della diplomazia realista fondata sulla ricerca dell’equilibrio dei rapporti di potenza e quindi di rispetto della sovranità statuale; dall’altro tra i principi di ingerenza che sono praticati con grande spregiudicatezza in campo economico in Europa. E si ingerisce sempre chi è più forte, mai chi è più debole. Di qui il ruolo dominante tedesco che la vittoria di Syriza mette in discussione tra politica economica e politica estera.



La questione greca è quindi assai più complessa di quel che si vorrebbe far vedere e richiama l’Europa e il mondo ai valori fondamentali. Lo scacchiere è in movimento: Alexis Tsipras ha detto no ai cinesi rifiutando la privatizzazione dei porti e ha nel contempo aperto alla Russia e - con la classica mossa del cavallo - ha dichiarato che ciò che conta è spostare il tavolo delle trattative dall’Europa a una dimensione internazionale con una conferenza internazionale sul problema del debito.



Se la Russia e gli Stati Uniti contribuissero con la loro partecipazione a tale conferenza, tutte le carte sarebbero in mano ai dirigenti di Syriza. Essi, del resto, annoverano tra loro quel bell’economista non maistream, non ortodosso, che è Yanis Varufakis, al quale non manca certo né il coraggio né la competenza.



È in questo contesto che oggi si incontrano Renzi e Tsipras. Un contesto ampio e complesso, nei confronti del quale le schermaglie diplomatiche sono aperte. Bene ha fatto perciò Renzi a far sapere che ha parlato con la Merkel. L’aiuta in una situazione molto difficile nel suo Paese, dove sale una febbre anti euro che non fa piacere a nessuno, ai greci per primi. E bene fanno i greci tenere alta la guardia e la posta con grande dignità nazionale. L’importante è che si negozi lontano dalla folla, come certo Renzi (alla maniera di Draghi) sta facendo da quando Syriza ha vinto.



Ma nel contempo bisogna lanciare ai cittadini segnali rassicuranti. Inoltre, ha ragione Renzi: non vi è nessun bisogno di un asse mediterraneo. È ben più solido ed efficace quello anglo-americano che si presta bene a indebolire la Germania senza alte grida ma con grande efficacia.



Occorre però comprendere che questo incrocio di temi e di problemi segna di fatto la fine di un ciclo: quello dell’austerità. La scelta della Bce di aumentare la disponibilità di moneta per combattere la deflazione in Europa, acquistando titoli di debito pubblico per 60 miliardi al mese almeno fino al settembre 2016, dimostra che il blocco tedesco può essere condotto a più miti consigli, che insomma l’impresa non è impossibile. Un altro importante segnale della fine di questo ciclo, e di cui abbiamo già scritto su Il Messaggero, è la scelta della Svizzera di sganciare il franco dall’euro. Questa decisione ha diverse ragioni.



Ma ciò che conta è che è sempre preoccupante quando la Svizzera inizia a rinchiudersi in se stessa, perché queste mosse sono i prodromi di una crisi di tutto ciò che è intorno alla Svizzera.

E che dire delle reazioni tedesche dinanzi alla vittoria di Syriza? A sentire parte dell’intellighenzia tedesca, si tratterebbe di una «sorpresa» perché le cose avevano incominciato a riprendere nel Paese ellenico. Stando ai numeri, le cose stanno così: nel 2014 non sono mancati i segnali di una ripresa economica. Si tratta però del solito modello ineguale, con la ripresa senza occupazione, unica possibile in un contesto rigido di austerità.



La Grecia, pur guidata da una forza dichiaratamente di sinistra, rappresenta il primo atto in una presa di coscienza popolare contro un approccio politico alla crisi del tutto inadeguato che coinvolge profondamente anche le classi medie.

C’è poi un effetto stupefacente dell’austerità: la crescita ineguale anche in Germania. Solo nel 2011 i salari tedeschi sono tornati al livello del 2000, mentre oltre un quarto dei lavoratori tedeschi percepisce una paga oraria inferiore a 9,30 euro. È un livello da Europa dell’Est. Soprattutto, è un livello che sta creando ampie sofferenze e proteste.



In questo contesto l’incontro tra Renzi e Tsipras è un incontro che può produrre grandi effetti sui cittadini dei due Paesi. Dovrebbero, i due giovani leader, lanciare un chiaro segnale che faccia divenire scelta politica la fine dell’austerità, con la predisposizione di una serie di misure a favore della crescita che sono già state ben definite dai non sostenitori dell’austerità medesima, soprattutto a livello nord americano. Si apra dunque una fase di negoziati, lunga quanto serve, che i cosiddetti mercati già stanno scontando avendola di fatto prevista. Sta a Renzi e a Tsipras non disperdere questo clima favorevole.