Migrante intervistato sulla nave militare, in realtà è lo scafista: smascherato e arrestato

Migrante intervistato sulla nave militare, in realtà è lo scafista: smascherato e arrestato
di Cristina Montagnaro
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Lunedì 15 Settembre 2014, 18:03 - Ultimo aggiornamento: 16 Settembre, 17:18
Era fuggito dalla guerra e diceva di aver lasciato il suo paese ormai distrutto e la sua famiglia. Con il suo italiano incerto, non fluente ma dai modi innocenti e gentili era riuscito ad essere il soggetto perfetto per l’intervista e per spiegare così il dramma dei migranti. Invece era una scafista.



A scoprirlo, al ritorno in porto di Reggio Calabria, quattro giovani reporter che si sono imbarcati sulla nave della Marina militare San Giusto nell’operazione “Mare nostrum” per documentare gli sbarchi dei migranti: Emanuele Bianchi, 34 anni, Alberto Gentile, 26 anni, Silvia Renda, 23 anni, Flavia Testorio, 23, praticanti della scuola di giornalismo della Lumsa. I quattro giornalisti sono rimasti per cinque giorni a bordo della nave insieme ai marinai, ai medici, agli infermieri, alla polizia, ai volontari e ai ragazzi della brigata San Marco.



I cronisti da subito hanno iniziato a fare interviste, raccogliere storie e girare immagini per i loro servizi televisivi: tra le tante anche la vicenda di Kmaled Hamida. Raccontano ora che Kmaled era l’unico che parlava quasi perfettamente l’italiano e a bordo della nave era diventato il punto di riferimento per equipaggio e migranti agiva come “interprete”, quando non era possibile comprendersi, o quando i migranti erano interrogati e non riuscivano a rispondere. Ed è per questo che hanno deciso di intervistarlo.



“Nel video - spiega Silvia - l’uomo ci aveva raccontato la sua storia e il suo viaggio, cominciato in Siria 25 giorni prima e conclusosi con il salvataggio da parte della Marina dopo otto ore in mare. E aveva illustrato, senza risparmiare commenti negativi, il trattamento che i migranti subiscono da parte degli scafisti, che fanno parte delle organizzazioni che mettono in piedi i viaggi”.



“In una barca che può contenere al massimo 150 persone - aveva detto Kmaled - ne buttano dentro anche 300, ci sono acqua e da mangiare, ma se qualcuno ha bisogno di cure deve aspettare l’arrivo della nave italiana”.



“Uno degli elementi che ci hanno più colpito - raccontano i quattro giornalisti - è proprio la certezza che tutti, migranti e scafisti, sanno dell’esistenza nella zona di mare italiano di una nave che giungerà a salvarli: c’è una sorta di consapevolezza che gli italiani non li lasceranno in mezzo al mare”.



Secondo Kmaled erano gli stessi scafisti a tranquillizzare i migranti sostenendo che “dopo otto ore avremmo incontrato le navi italiane che ci avrebbero salvati. Quel criptico ‘loro’, ripetuto più volte nel suo racconto, probabilmente faceva in realtà riferimento anche a se stesso”.



All’arrivo nel porto di Reggio Calabria, la sorpresa Kmaled non era un migrante, ma uno scafista tunisino, uno di quelli che ne buttano dentro 300, proprio come aveva detto lui nell’intervista.

Appena sbarcato è stato ammanettato dalla squadra mobile della questura di Reggio Calabria.



Alla sua individuazione si è giunti grazie alla testimonianza di alcuni migranti. Ora è in stato di fermo e deve rispondere di associazione per delinquere e ingresso illegale nel territorio dello Stato, aggravati dalla circostanza di aver sottoposto i migranti a pericolo per la loro vita e per la loro incolumità e di averli costretti ad un trattamento inumano e degradante.