Ma scegliersi il profugo non risolve il problema

di Carlo Jean
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Venerdì 4 Settembre 2015, 23:51 - Ultimo aggiornamento: 5 Settembre, 00:03
Le ondate migratorie dai Paesi in guerra e da quelli asiatici e africani più poveri e con la popolazione in rapida crescita sono divenute una tragedia, non solo per chi fugge dalla morte o dalla povertà, ma anche per l’Europa. Invece di unirsi per affrontare la difficile sfida, l’Europa sta scricchiolando. È in pericolo l’accordo di Schengen, che garantisce la libera circolazione delle persone.

Tutti i partiti nazionalisti si sono gettati a pesce sulle preoccupazioni che fanno sorgere le valanghe dei richiedenti asilo e soprattutto degli immigrati economici. I governi si arrabattano. Qualsiasi misura adottino, vengono criticati. La Merkel ha perso il 4% dei voti favorevoli sia per aver condannato le violenze di gruppi neo-nazisti, sia per non averlo fatto subito. La burocrazia europea non è messa meglio. Dopo aver definito “storico” l’accordo di aprile sulla ricollocazione degli immigrati, non è riuscita neppure a trovare un consenso su obiettivi fortemente ridotti. Di risistemare 40.000 migranti.

Le dispute sull’immigrazione in Italia sono divenute meno aspre per vari motivi. Primo: ci siamo resi conto che la via principale seguita dai migranti, non è quella mediterranea, ma quella terrestre, dai Balcani e dall’Europa Orientale. Secondo: ci siamo abituati ai morti in mare, così come agli incidenti automobilistici. Beninteso le tragedie più spettacolari come quella del siriano che seppellisce la moglie e i due figlioletti affogati, hanno ampia risonanza mediatica e consentono - gratuitamente - di far sfoggio di buoni sentimenti.

Terzo: la possibilità che la Libia ponga un freno ai “barconi” dipende non solo dall’esistenza di un governo di unità nazionale, ma anche dal fatto che sia sufficientemente forte da poter respingere alla sua frontiera meridionale le colonne d’immigranti, prima che attraversino il deserto. Lo faceva il regime di Gheddafi, anche se su come lo facesse, è meglio non indagare troppo. Detta un po’ brutalmente, anche in caso d’intervento internazionale (che nessuno farà) a terra, come sarebbe necessario, la scelta è tra la morte in mare e quella nel deserto. Per noi la seconda aveva un vantaggio: non si vedeva. Non possiamo cullarci con la buona coscienza e con le fantasie “buoniste” dello “jus soli” e dell’accoglienza di tutti i disperati del mondo. Esse sono pericolose: incentivano le partenze verso l’Europa, vista come una terra promessa. Quarto: tutti si stanno accorgendo di una stranezza: che nessuno parli del controllo delle nascite. Fino a che ogni donna dell’Africa sub-sahariana o dell’Asia meridionale avrà da 4 a 6 figli, l’immigrazione continuerà. La pressione aumenterà nei prossimi anni anche per la diminuzione del costo delle materie prime. Esso ha consentito negli ultimi dieci anni all’Africa - “miniera del mondo” - una crescita del 5%. Il suo recente collasso la colpirà grandemente. Aumenteranno l’instabilità e le guerre, poiché molti governi non riusciranno a soddisfare il fabbisogno alimentare delle loro popolazioni.

In sostanza, il fenomeno delle ondate immigratorie non è transitorio. È destinato ad aggravarsi e a colpire duramente quanto resta della coesione europea. L’Europa non verrà salvata dall’euro, ma da politiche comuni. Quella delle norme sulla concessione del diritto d’asilo e della cittadinanza, sull’identificazione degli immigrati e sul rimpatrio di coloro che non hanno diritto di restare in Europa ne costituiscono parte sempre più urgente. Vedremo cosa deciderà al riguardo il Consiglio Europeo convocato per il 14 settembre. Nel contempo, ciascuno Stato dell’Unione cercherà di fare da sé. In questo i politici sono bravissimi. Non si contano le “furbate” fatte da tutti. L’ultima è stata quella del premier britannico Cameron. Forse impressionato dalle dichiarazioni congiunte della tedesca Merkel e del francese Hollande - a proposito! dove è andato a finire il triumvirato franco-anglo-tedesco? - si è detto disponibile ad accogliere nel Regno Unito più rifugiati di quanti gli spetterebbero, purché se li scelga autonomamente nei campi profughi siriani, secondo le procedure di una convenzione fra l’Uk e l’Alto commissariato Onu per i rifugiati. La sovranità di Londra non verrebbe così lesa da Bruxelles. Gli inglesi potrebbero scegliersi chi fa loro comodo. Cameron potrebbe vantarsi della solidarietà britannica verso i profughi e verso l’Ue. È però una presa in giro.

La soluzione non risolverebbe, neppure marginalmente, il problema. Intanto, non può essere generalizzata. Poi, non farebbe diminuire il numero di clandestini provenienti dall’Asia o dall’Africa sub-sahariana. Infine, i profughi siriani in Turchia, Libano e Giordania sono più di 4 milioni. L’Uk ne prenderebbe solo qualche migliaio. Affermerebbe però un principio del tutto irrealistico nell’attuale situazione: è lo Stato ospitante che ha il diritto di scegliere chi vuole. Non è il profugo che sceglie lo Stato in cui andare. La soluzione Cameron ha un solo vantaggio. Può essere approvata da tutti i governi, proprio perché non risolve nessun problema. Esso potrebbe essere attenuato, almeno nel breve termine, nel modo tratteggiato dalla Commissione Europea: regole comuni e ripartizione in quote vincolanti e permanenti fra tutti gli Stati membri. Questo beninteso richiederebbe un grosso salto in avanti dell’intera costruzione europea. È difficile che i governi l’accetteranno, soprattutto quelli che non si sentono minacciati dai populismi e dalle xenofobie crescenti.

Nell’attuale situazione, c’è solo da sperare che non avvenga qualche atto terroristico. Potrebbe scatenare una caccia all’immigrato.