Marò, Latorre e Girone: «Non siamo responsabili della morte dei due pescatori»

Latorre e Girone
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Giovedì 6 Febbraio 2014, 09:26 - Ultimo aggiornamento: 7 Febbraio, 11:59
Ci dispiace per la perdita di due vite umane, ma non ci sentiamo assolutamente responsabili. Lo ha dichiarato oggi a New Delhi il fuciliere di Marina Salvatore Girone, in merito alla morte di due pescatori indiani avvenuta il 15 febbraio 2012 mentre il marò era sulla nave Enrica Lexie insieme all'altro fuciliere Massimiliano Latorre in missione internazionale di sicurezza anti-pirateria. «È un dispiacere umano - ha concluso il marò - ma siamo innocenti».



«Siamo cresciuti in due città di mare e noi stessi siamo anche pescatori», hanno detto ancora i marò stamani in un incontro con i giornalisti italiani a New Delhi. Ribadendo il loro dispiacere per la morte dei due pescatori del Kerala, Latorre e Girone hanno sottolineato che «anche noi, come loro siamo uomini di mare».



Lo spettro della richiesta della pena di morte per i fucilieri di Marina italiani implicati nella morte in India dei due pescatori indiani intanto è definitivamente archiviato. Il ministero dell'Interno, che sembrava non voler abbandonare la linea dura, ha alla fine raggiunto su questo specifico tema il campo delle "colombe" degli Esteri e della Giustizia.



Ma a credere alle solite fonti governative citate dalla stampa locale, lo stesso ministero sarebbe irremovibile nella volontà di usare la legge che reprime la pirateria (Sua Act) per costruire i capi di accusa nei confronti dei due marò. Soprattutto perché essa è applicabile, in certi casi, fuori dalle acque territoriali.



Tutto questo mentre resta forte la mobilitazione delle massime autorità italiane. A Strasburgo, dove ha incontrato gli eurodeputati italiani, il presidente Giorgio Napolitano ha confermato oggi di essere impegnato in contatti internazionali a sostegno dei due fucilieri di Marina che, ha detto, «non erano in mare a pescare ma in missione internazionale di sicurezza».



E a Roma il ministro della Difesa Mario Mauro, in una audizione in Parlamento, ieri ha avvertito che «la

partecipazione italiana a future missioni antipirateria è legata alla positiva soluzione della vicenda giudiziaria dei due marò, che dovrà concludersi con il loro rientro a casa, con onore». «La pronuncia della Corte Suprema indiana sulla nostra petizione, il 10 febbraio, avrà una particolare rilevanza sugli scenari futuri. Ci riserviamo pertanto - ha assicurato Mauro - di valutarla con estrema attenzione». «Prendo atto con soddisfazione delle dichiarazioni del ministro Mauro sulle missioni antipirateria. Ma se la vicenda non dovesse concludersi - è intervenuto La Russa di Fdi - resta la nostra intenzione candidare i marò» alle elezioni europee.



Infine la presidente della Camera, Laura Boldrini, ha scritto al Presidente del Parlamento europeo, Martin

Schulz, dicendosi convinta che «l'Italia, e con essa l'Europa e la comunità internazionale, debbano esigere il rispetto del diritto internazionale ed una rapida soluzione del caso».



Secondo la stampa indiana, l'accantonamento della pena capitale è maturato in una riunione a cui hanno partecipato responsabili dei ministeri degli Esteri, Giustizia ed Interni, insieme al Procuratore generale, G.E. Vahanvati, a cui spetta la responsabilità di costruire l'architettura giuridica che deve convincere i giudici della Corte Suprema lunedì prossimo.



Negli ambienti della giustizia di Delhi Vahanvati è ammirato per essere un uomo con «soluzioni rapide per problemi giuridici complessi». E sicuramente avrà il suo da fare per convincere i giudici della liceità di rinviare a giudizio due fucilieri, di fatto agenti di polizia giudiziaria sulla Enrica Lexie, con una legge pensata per reprimere atti di terrorismo e di pirateria.



L'ipotesi di utilizzare il Sua Act senza che la polizia Nia evocasse la pena di morte era già stata fatta giungere ai media tempo fa. Tuttavia i legali della difesa hanno detto e ripetuto che non solo l'uso del Sua Act «è inappropriato per militari in servizio di sicurezza», ma implica una «richiesta automatica» di pena capitale per chi è accusato di omicidio.



Come il procuratore indiano dribblerà questi ostacoli non è chiaro. Ma va ricordato che ad essi se ne aggiunge un terzo, ed è che nelle sue sentenze sull'incidente in cui il 15 febbraio 2012 morirono due pescatori indiani, la Corte Suprema non ha mai fatto cenno al Sua Act, ed ha indicato quattro altri strumenti da utilizzare per svolgere le indagini e processare i marò.



Resta poi, dal punto di vista politico, il fatto che l'eventuale richiesta di applicare la legge antiterrorismo per costruire i capi d'accusa contro Latorre e Girone rappresenta una «linea rossa» che il governo italiano respingerà con tutte le sue forze, come ha ricordato più volte l'inviato governativo, Staffan de Mistura. È probabile che se i giudici della Corte Suprema non accetteranno la principale richiesta del ricorso italiano - impedire all'India di andare avanti con l'accusa visti gli enormi ritardi accumulati nel presentare le prove - dovranno però dire se non sia giusto che Latorre e Girone possano tornare a casa in attesa dei lenti sviluppi del processo.