Marò, i giudici indiani ammettono: errori e decisioni politiche Video

Salvatore Latorre e Massimiliano Girone
di Jacopo Orsini
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Sabato 7 Giugno 2014, 14:47 - Ultimo aggiornamento: 8 Giugno, 16:36
Errori, montature, decisioni di natura politica. Sono alcuni degli stessi giudici indiani che hanno avuto a che fare con il caso dei marò a dire che la vicenda presenta una serie di punti oscuri e contraddittori.



A denunciarlo è un giornalista di New Delhi, Pushp Sharma, che negli ultimi mesi ha condotto una serie di indagini e interviste con telecamera nascosta nello stato indiano del Kerala, dove i fucilieri di marina Salvatore Latorre e Massimiliano Girone sono accusati di aver ucciso due pescatori indiani, Valentine Jelastine, 45 anni, e Ajesh Binki, 25.



Era il 15 febbraio del 2012 quando al largo delle coste indiane del Kerala, dalla petroliera battente bandiera italiana Enrica Lexie, in navigazione verso Gibuti, partono alcuni colpi di arma da fuoco verso il peschereccio indiano St. Antony, scambiato per una barca di pirati. L'equipaggio del barchino denuncerà poi alla guardia costiera del distretto di Kollam l'uccisione di due componenti dell'equipaggio.



Dopo la sparatoria alla nave italiana viene ordinato dalle autorità indiane di attraccare al porto di Kochi, dove Latorre e Girone vengono arrestati con l'accusa di omicidio. Da allora i due marò, salvo una breve parentesi natalizia, sono trattenuti in India, come ha denunciato urlando lo stesso Girone in un drammatico collegamento con le Commissioni Esteri e Difesa di Camera e Senato il 2 giugno scorso.



«Il caso contro i marò è stato montato in modo scandaloso per motivi politici, è una macchinazione», afferma Sharma che ha raccontato i risultati della sua inchiesta al giornale in lingua inglese Italian insider. «Nelle interviste che ho fatto i giudici esprimono dubbi e riserve sulle prese di posizione della corte suprema, parlano di decisioni contradditorie e di interferenze».



«Anch'io non sono riuscito a capire le motivazioni che stanno dietro i giudizi della corte suprema», afferma il giudice P S Gopinath dell'Alta corte del Kerala che si è occupato del caso dei marò.











Per esempio, fa notare Sharma, la Corte suprema è intervenuta fin dal primo grado di giudizio e in quella fase non avrebbe avuto alcun titolo per intervenire. Non solo. Il caso, sempre secondo il giornalista indiano, che riferisce l'opinione dei giudici intervistati, si inserisce in una zona grigia della legge indiana, che appare inadeguata a gestire il caso. «Gli stessi giudici ammettono che è un caso unico e che servirebbero nuove leggi», sostiene Sharma.



«All'estero possono pensare che il sistema giudiziario indiano non sia solido. Che non ci siano regole», dice ancora Gopinath, che ammette una certa confusione fra i giudici della Suprema corte. «E' una vergogna a livello internazionale», aggiunge.



Un altro magistrato che esprime forti dubbi sui verdetti della Suprema corte è Mohan Raj, nominato procuratore speciale per il caso dei marò. «E' la suprema corte che ha creato confusione», dice Raj in una delle intervista con Pushp.



Uno dei punti più controversi della vicenda dei due fucilieri del 2º Reggimento San Marco è dove sia avvenuta la sparatoria. Secondo l'Italia è avvenuta a 33 miglia dalla costa del Kerala, e quindi in acque internazionali su una nave battente bandiera tricolore, e dunque la giurisdizione appartiene a Roma. Per l'India, la sparatoria è avvenuta invece in acque nazionali, a 20,5 miglia nautiche dalla costa del Kerala, in una posizione all'interno della cosiddetta «zona contigua», che si estende sino a 24 miglia nautiche dalla costa.



«Da quello che si capisce la Suprema corte dice che non abbiamo giurisdizione oltre le 12 miglia nautiche. Questo è accettabile - afferma ancora il procuratore speciale Raj - perché è quanto prevede la legge di terra. Ora però un giudice dice che il limite è 24 miglia nautiche, un altro 200 miglia nautiche, come possiamo giustificarlo?». Insomma «c'è una tale confusione che ricadrà sull'intero sistema giudiziario indiano», continua Raj. «Questo è il problema - conclude il procuratore - e come uomo di legge mi sembra ridicolo».