Quelle maglie da calcio in mezzo alle guerre, miliziani e guerriglieri vestiti come i loro eroi

Quelle maglie da calcio in mezzo alle guerre, miliziani e guerriglieri vestiti come i loro eroi
di Giulia Aubry
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Mercoledì 18 Giugno 2014, 00:56 - Ultimo aggiornamento: 19 Giugno, 04:03

​Gomez, Ibrahimovic, Nani, Jordi Alba. Siamo abituati a vedere le loro magliette sui campi di calcio della Champions League o, per alcuni di loro, su quelli ancora pi prestigiosi dei Mondiali brasiliani. Ma in questi giorni le magliette blaugrana del Barcellona, quelle bianche del Real, persino quelle della nazionale brasiliana hanno raccontato una storia molto diversa e lontana dai campi in erba delle partite di calcio.

Sospinti da miliziani con il volto semicoperto e dalle loro armi puntate alla testa o alla schiena, questi uomini con indosso le magliette degli idoli del calcio internazionale sono stati ritratti nelle foto pubblicate sul web da ISIL (acronimo dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante), il gruppo militante jihadista che sta avanzando verso Baghdad nella martoriata terra irachena. Qualcuno – come la BBC o qualche altro osservatore internazionale – ha avanzato dubbi sull’autenticità delle foto che, in brevissimo tempo, hanno fatto il giro del mondo denunciando l’orrore della guerra in corso. Ma l’esercito iracheno ha confermato che in quei luoghi e nelle misure indicate - circa 1.700 fucilazioni - ci sarebbe stata una vera e propria esecuzione di massa.

Di fronte a tutto ciò anche un simbolo comune, come una maglietta di una squadra di calcio, cambia di segno e di significato, passando da aggregazione gioiosa di giovani tifosi a simbolo della fine dell’illusione di una normalità mai ottenuta, per chi le indossa di fronte alla morte. E non si tratta solo di un fenomeno iracheno. Molte delle immagini delle cosiddette primavere arabe o delle guerre in Africa Centrale vedono bambini e giovani armati indossare magliette di squadre della Premiere League inglese, della Ligue A francese o del Campionato di Serie A italiano.

Le maglie arrivano nelle aree di crisi di tutto il mondo attraverso vari percorsi e possono avere utilizzi diversi nel corso dei conflitti. Alcune fanno parte di donazioni da parte di onlus od organizzazioni internazionali o delle stesse squadre, altre sono contraffatte e acquistate sul posto di provenienza dai mercati orientali. Alcuni le indossano come segno di riconoscimento, soprattutto nel corso di azioni di guerriglia urbana o attentati terroristici, dove i colori sgargianti e la facile riconoscibilità dei disegni facilita un’identificazione anche a distanza. Ma tanti lo fanno per comodità e per passione.

Perché nel Medio Oriente, nel Nord Africa e nel Centro Africa (come dimostra l’entusiasmo di questi giorni per squadre come il Ghana, l’Algeria, l’Iran, il Camerun) il calcio è lo sport più amato e i calciatori sono degli eroi, né più né meno di quanto non lo siano per un bambino o un ragazzo italiano, europeo o brasiliano. Non sapremo mai se i ragazzi con indosso la maglietta di Jordi Alba, Nani o Ibrahimovic fossero davvero dei loro fan. E non avremo più occasione di chiederglielo. Ma sappiamo che molti ragazzi durante la guerra civile in Libia indossavano le magliette del Milan per protestare contro Gheddafi che, per diverse ragioni, si riteneva tifoso della Juventus. E tanti combattenti nell’Africa Centrale o nel Corno d’Africa si fermano per seguire le partite alla televisione. Per loro il mito è Drogba, la cui maglietta del Chelsea era una delle più fotografate, accanto a fucili e coltelli, nei bivacchi all’ombra di una foresta. Giuliana Sgrena raccontò che uno dei suoi rapitori in Iraq tifava per Totti, ed era rimasto colpito che il giocatore della Roma avesse indossato, prima di una partita di campionato, una maglietta per chiedere la sua liberazione.

Adesso che i principi arabi acquistano le squadre di calcio europee, quelle magliette sulle spalle di ragazzi mediorientali che vanno a morire sembrano ancora di più un paradosso. Il simbolo di qualcosa che da lontano stentiamo a comprendere, ma che da vicino riguarda persone che come noi vorrebbero solo vedere una partita di calcio e fare il tifo per il loro campione preferito.

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