Isis, il dilemma dei media occidentali di fronte alla propaganda jihadista

Isis, il dilemma dei media occidentali di fronte alla propaganda jihadista
di Antonio Bonanata
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Venerdì 17 Aprile 2015, 20:21 - Ultimo aggiornamento: 18 Aprile, 22:06
Raccontare in che modo porsi verso la propaganda del terrore dell'Isis: in questi mesi è stata una delle priorità dei network occidentali di fronte alla sfida islamista.



Ne hanno parlato in un incontro, durante il Festival del giornalismo di Perugia, Lucio Caracciolo (direttore di Limes), Giovanni Maria Vian (direttore dell'Osservatore romano) e Paolo Scotto di Castelbianco, responsabile del Dis (Dipartimento informazione e sicurezza), moderati dal direttore di Sky Tg24 Sarah Varetto.



Tra le caratteristiche emerse in questa sfida, una delle più sottolineate è stata la bravura e l'esperienza dei terroristi. Velocità, immediatezza, adattabilità: tutti aspetti riscontrabili nei predicatori del terrore. Usano molto bene Twitter e altri social network, fanno ottimi video, hanno una rivista di riferimento (Dabiq), patinata e di eccellente fattura. Consolidare ed espandere: è questo il nucleo della strategia dell'Isis. Hanno segmentato il pubblico, rivolgendosi in primis alle popolazioni più prossime; poi, via via, agli occidentali, alle donne, ai giovani emigrati (i reclutabili), agli alleati potenziali (Boko Haram). Noi, in un certo senso, andiamo a rimorchio, li inseguiamo.



"La strumentalizzazione della religione è l'aspetto che colpisce di più" evidenzia Giovanni Maria Vian. "Già Giovanni Paolo II e Benedetto XVI chiesero di fare fronte comune contro ogni uso distorto della religione (Wojtyla ad Assisi nell'86 e Ratzinger a Ratisbona nel 2005). Un concetto, poi, fatto proprio da Bergoglio, che - anche per questo - viene oggi elogiato da testate insospettabilmente papiste". Lucio Caracciolo ha invece rimarcato l'importanza della chiarezza, del fare luce sull'identità dei terroristi: "Dobbiamo capire chi sono e, in base agli obiettivi che si pongono, dare un nome alla loro propaganda. 'Stato islamico' è una definizione perfetta, un marchio ineguagliabile. È una visione fanatica e puritana al tempo stesso, il loro credo è insieme puro e vincente".



Il direttore di Limes ha anche cercato di tranquillizzare sulle minacce più violente: "Uno stato che rappresenti l'intero mondo musulmano non esisterà mai". Poi, quasi a voler instillare un dubbio: "Non è anche nella nostra semplificazione che risiede la chiave del loro successo? È come se fossimo caduti nella loro trappola. Li abbiamo presi un po' troppo sul serio, e questo ci fa interrogare sulle nostre responsabilità". Quelli che combattono lo stato islamico sono gli iraniani e i curdi (per difesa). I capi dell'Isis sono anche trafficanti, il loro obiettivo è fare soldi, gli affari li fanno con noi (reperti archeologici, petrolio, ecc). "In che misura contribuiamo a questa minaccia?" si chiede Caracciolo.



Non enfatizzare, quindi, stare lontano dai fake, saper verificare: è questo il compito principale degli operatori della comunicazione. "Nelle praterie del web c'è tutto, l'Isis occupa continuamente tutti gli spazi. Molta roba è costituita, appunto, da fake. Sarebbe necessaria una più attenta certificazione delle fonti" ha avvertito Paolo Scotto, aggiungendo che "molti giornalisti si sono fatti ingannare, hanno creduto a delle bufale".



"Sobrietà nell'uso delle immagini, in un'epoca in cui l'immagine prevale sui testi" ha invece chiesto il direttore dell'Osservatore romano. "Preparazione e rigore critico sono indispensabili, l'esempio offerto da Limes in questo senso è calzante". Poi, nel finale, una domanda in parte provocatoria: "Perché titolare il dibattito 'I media occidentali alle prese con la propaganda del terrore', sottolineando la parzialità dei soggetti coinvolti in questa sfida (i media del solo Occidente), e non - semplicemente e generalmente - 'i media'? Vediamo se si può raccontare l'Islam usando lo stesso Islam".