Ne hanno parlato in un incontro, durante il Festival del giornalismo di Perugia, Lucio Caracciolo (direttore di Limes), Giovanni Maria Vian (direttore dell'Osservatore romano) e Paolo Scotto di Castelbianco, responsabile del Dis (Dipartimento informazione e sicurezza), moderati dal direttore di Sky Tg24 Sarah Varetto.
Tra le caratteristiche emerse in questa sfida, una delle più sottolineate è stata la bravura e l'esperienza dei terroristi. Velocità, immediatezza, adattabilità: tutti aspetti riscontrabili nei predicatori del terrore. Usano molto bene Twitter e altri social network, fanno ottimi video, hanno una rivista di riferimento (Dabiq), patinata e di eccellente fattura. Consolidare ed espandere: è questo il nucleo della strategia dell'Isis. Hanno segmentato il pubblico, rivolgendosi in primis alle popolazioni più prossime; poi, via via, agli occidentali, alle donne, ai giovani emigrati (i reclutabili), agli alleati potenziali (Boko Haram). Noi, in un certo senso, andiamo a rimorchio, li inseguiamo.
"La strumentalizzazione della religione è l'aspetto che colpisce di più" evidenzia Giovanni Maria Vian. "Già Giovanni Paolo II e Benedetto XVI chiesero di fare fronte comune contro ogni uso distorto della religione (Wojtyla ad Assisi nell'86 e Ratzinger a Ratisbona nel 2005). Un concetto, poi, fatto proprio da Bergoglio, che - anche per questo - viene oggi elogiato da testate insospettabilmente papiste". Lucio Caracciolo ha invece rimarcato l'importanza della chiarezza, del fare luce sull'identità dei terroristi: "Dobbiamo capire chi sono e, in base agli obiettivi che si pongono, dare un nome alla loro propaganda. 'Stato islamico' è una definizione perfetta, un marchio ineguagliabile. È una visione fanatica e puritana al tempo stesso, il loro credo è insieme puro e vincente".
Il direttore di Limes ha anche cercato di tranquillizzare sulle minacce più violente: "Uno stato che rappresenti l'intero mondo musulmano non esisterà mai". Poi, quasi a voler instillare un dubbio: "Non è anche nella nostra semplificazione che risiede la chiave del loro successo? È come se fossimo caduti nella loro trappola. Li abbiamo presi un po' troppo sul serio, e questo ci fa interrogare sulle nostre responsabilità". Quelli che combattono lo stato islamico sono gli iraniani e i curdi (per difesa). I capi dell'Isis sono anche trafficanti, il loro obiettivo è fare soldi, gli affari li fanno con noi (reperti archeologici, petrolio, ecc). "In che misura contribuiamo a questa minaccia?" si chiede Caracciolo.
Non enfatizzare, quindi, stare lontano dai fake, saper verificare: è questo il compito principale degli operatori della comunicazione. "Nelle praterie del web c'è tutto, l'Isis occupa continuamente tutti gli spazi. Molta roba è costituita, appunto, da fake. Sarebbe necessaria una più attenta certificazione delle fonti" ha avvertito Paolo Scotto, aggiungendo che "molti giornalisti si sono fatti ingannare, hanno creduto a delle bufale".
"Sobrietà nell'uso delle immagini, in un'epoca in cui l'immagine prevale sui testi" ha invece chiesto il direttore dell'Osservatore romano. "Preparazione e rigore critico sono indispensabili, l'esempio offerto da Limes in questo senso è calzante". Poi, nel finale, una domanda in parte provocatoria: "Perché titolare il dibattito 'I media occidentali alle prese con la propaganda del terrore', sottolineando la parzialità dei soggetti coinvolti in questa sfida (i media del solo Occidente), e non - semplicemente e generalmente - 'i media'? Vediamo se si può raccontare l'Islam usando lo stesso Islam".