L’Isis, lo scambio di vite umane e i nuovi scenari

di Paolo Graldi
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Mercoledì 28 Gennaio 2015, 23:23 - Ultimo aggiornamento: 29 Gennaio, 00:18
«Chiediamo una vita in cambio di una vita»: è racchiusa in queste otto parole la chiave di volta che ha portato ieri pomeriggio a una svolta nel caso di Kenji Goto Jogo, il freelance giapponese prigioniero dell’Isis, e in quello del pilota militare giordano Muadh Kassasbe, catturato a Natale dopo l’abbattimento del suo jet da parte dei jihadisti.

La liberazione dei due ostaggi è stata annunciata dagli integralisti ma non confermata ufficialmente.



Sembrerebbe così interrotto l’infame conto alla rovescia dopo il video della decapitazione del primo ostaggio giapponese, conto giunto quasi all’ultima ora in un drammatico affievolirsi delle speranze. Il lutto per un innocente trucidato dalla ferocia jihadista ha offuscato la gioia per la vita probabilmente portata in salvo. E tuttavia l’accettazione dello “scambio” proposto dall’Isis ha aperto scenari nuovi.



I terroristi hanno riportato in patria, dalle prigioni giordane, Sajida al-Rishawi. La donna, che Goto chiama “sorella” nell’ultima supplica, nel 2005 doveva esplodere assieme al marito in un attentato kamikaze ad Amman: 58 morti in un grande albergo. La cintura di tritolo che l’avvolgeva non reagì ai comandi. I tagliateste del Califfato dopo aver sacrificato la vita dell’amico di Goto, il cooperante Haruna Yukawa, (il premier nipponico Shinzo Abe aveva rifiutato di pagare il riscatto richiesto di duecento milioni di dollari), avevano cambiato il ventaglio delle minacce. Sapevano che neppure di fronte all’enorme emozione suscitata in Giappone e nel mondo dalle suppliche dei parenti degli ostaggi e poi dall’orrore del primo filmato di morte (il corpo del cooperante in un lago di sangue, la sua testa mozzata in primo piano) la linea della fermezza si sarebbe spezzata. Mai, comunque di fronte a una sequela di uccisioni che hanno toccato americani e inglesi e portato lo scontro ad una fase acutissima con l’azzeramento di ogni possibile margine di dialogo. «Non chiediamo più soldi ma la liberazione della nostra sorella…», ha gridato Goto nel suo ultimo appello, con sole 24 ore di vita davanti. Diversi fattori hanno giocato per la conclusione di questo frammento di odio degli islamisti: Amman, benché direttamente coinvolta nella coalizione contro il Califfato, ha sempre dimostrato una capacità “realpolitik” che l’ha tenuta lontana dalle attività più cruente del terrore jihadista. E si è subito dimostrata disponibile a valutare una proposta di scambio. Sajida, martire mancata, prigioniera da cinque anni, condannata a morte in attesa del verdetto d’appello, verrà issata dai fratelli dell’Isis come una bandiera vittoriosa sul nemico ma a ben guardare non rappresenta un prezzo “impossibile” da pagare, appunto perché è lo “scambio di vite umane” alla base della trattativa.



È già accaduto, in ben altre proporzioni tra Israele e la Palestina e su tanti altri fronti. I giapponesi tirano un sospiro di sollievo (se la liberazione verrà confermata) perché pongono un argine, anche psicologico, al lutto che dilagava nel Paese e che sospingeva il governo verso una costosa fermezza, condivisa solo fino a un certo punto. Il gioco macabro dei filmati con il rituale degli ostaggi in camice arancione, in ginocchio, e l’accendersi del contatore della morte, l’uomo in nero che accanto alla bandiera dell’Isis in inglese scandisce le “ragioni” della condanna degli ostaggi, le preghiere in televisione delle madri piangenti, la determinazione dei governanti di rifiutare il pagamento dei duecento milioni di dollari richiesti (equivalenti all’impegno nipponico su questo fronte), hanno rappresentato anche per i terroristi un copione già spremuto, usurato, dall’esito fatale e insieme fiaccato dalla sua stessa feroce ripetizione. Di qui la scelta di spostare il tiro su una trattativa in un campo più malleabile, la Giordania appunto, che limita i danni per gli aggrediti e fa mettere all’incasso degli aguzzini un piccolo successo di immagine, sul piano diplomatico più che su quello militare.



È chiaro che il quadro complessivo nel comparto degli ostaggi da mercanteggiare con i coltelli o con gli scambi resta denso di incognite e aperto, apertissimo ad altri colpi di mano. Il riflesso mediatico per l’Isis è imponente: con pochi soldi, la complicità della Rete e una ferocia di cui dispongono in dosi illimitate gli uomini del Califfato giocheranno ancora a fare i macellai con gli uomini che sapranno catturare sul loro cammino fino a che anche questa fonte di orrore a buon mercato s’inaridirà per l’indurimento della risposta occidentale.



La psico-tragedia dei tagliateste non potrà andare in scena all’infinito suscitando sempre e comunque la stessa repulsione perché se è vero che è impossibile qualsiasi assuefazione è altrettanto vero che il ricatto sulla vita di innocenti è una moneta che perderà di valore.
Nell’attesa, la risposta militare mirata, potrebbe fare il resto. Che è quel che serve subito.