Lo ricorda il ministro degli Esteri Philip Hammond: il governo è consapevole della presenza di britannici in numeri significativi tra gli estremisti che operano all'estero. Su questo stiamo lavorando da molti mesi e non credo che questo video cambi particolarmente le cose, se non nel rafforzare la consapevolezza di una situazione molto grave. Non cambia le cose: appena emerso dalla lunga riunione convocata d'urgenza a Downing Street, Cameron ribadisce che l'impegno britannico in Iraq non cambia. "È un atto barbaro e brutale. Un assassinio senza alcuna giustificazione" dice, ma ripete che il Paese non sarà coinvolto in una nuova guerra in Iraq: "Non è il momento per reazioni impulsive".
Resta tuttavia l'allarme a Londra, che non dimentica la violenza subita 'in casà con gli attentati nel 2005. Scotland Yard, cui fa capo l'unità antiterrorismo della polizia britannica, è mobilitata: conferma di essere impegnata nelle indagini relative al video che mostra l'uccisione del giornalista americano e invita ad evitare la diffusione delle immagini sul web, soprattutto attraverso la condivisione su social media come Twitter e Facebook, ricordando che ciò potrebbe costituire reato nel Regno Unito secondo la legge antiterrorismo.
Intanto è il Guardian in serata a fornire prime possibili indicazioni sull'identità di quello che oggi è il simbolo della paura: l'estremista, che si fa chiamare John e si sospetta possa provenire da Londra stando alle analisi di linguisti, potrebbe essere il leader di un gruppo di jihadisti britannici che si ritengono essere i carcerieri di stranieri a Raqqa in Siria, scrive il giornale citando come fonte un ex ostaggio. Elementi tutti da verificare, ma che intanto confermano quanto esperti di antiterrorismo e analisti linguistici indicano, sottolineando che potrebbero essere fino a 500 gli estremisti di nazionalità britannica »irretiti« dall'Isis dopo essersi recati a combattere in Iraq e Siria.
E i britannici sarebbero tra i combattenti più feroci, secondo Shiraz Maher del centro internazionale di studi sulla radicalizzazione al King's College di Londra: «Sfortunatamente la partecipazione dei britannici nel conflitto che si estende in Siria e in Iraq riguarda tutti gli ambiti, sono in prima linea, sono tra i combattenti più feroci».
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