Va riannodato il filo spezzato tra Nord e Sud Europa

di Marco Fortis
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Mercoledì 6 Maggio 2015, 23:39 - Ultimo aggiornamento: 7 Maggio, 00:13
Le recenti proiezioni statistiche dell’Unione Europea sulla ripresa economica in atto nel Vecchio Continente e la sensazione espressa dal Commissario Moscovici di una primavera finalmente positiva (dopo le "fioriture" ripetutamente mancate degli ultimi anni) hanno trovato ieri una sponda importante nei dati dell'autorevole centro di analisi Markit Economics. Infatti, secondo l'indice composito degli acquisti dei manager delle imprese dell'Eurozona relativi ad aprile, la ripresa c'è. Riguarda un po' tutti i Paesi (con la sola Francia un po' in affanno) e interessa sia il settore manifatturiero sia quello dei servizi. Gli ordini sono ai massimi degli ultimi mesi ed è forte anche la ripresa dell'occupazione: questa è la chiara e prevalente sensazione dei manager.

La ripresa investe in pieno anche l'Italia, un giudizio, quello di Markit, che coincide con le aspettative della Confindustria per un secondo trimestre del 2015 più positivo del primo, che è stato effettivamente un po' stentato, anche se già in ripresa. Forse persino l'occupazione, la variabile sinora più debole in Italia, darà i primi importanti e non più contraddittori segnali di svolta tra aprile e giugno.

Su questo scenario, favorito anche dalle condizioni economiche esterne/interne, cioè il basso prezzo del petrolio, il favorevole cambio dell’euro e il Quantitative easing della Bce (che ha cominciato a produrre effetti significativi) da un lato, e le stesse riforme che molti Paesi hanno avviato o già realizzato, dall’altro lato, pesa però costantemente l’incognita della crisi Greca.

​Che sembra sempre sul punto di esplodere, nonostante i ripetuti interventi di molti esponenti di governi europei e della Commissione europea rivolti a tranquillizzare i cittadini e i mercati sulla impossibilità di una ”Grexit".



Dichiarazioni che si susseguono nonostante le perplessità e le ripetute critiche che comunque vengono rivolte al governo di Atene per il suo agire confuso nella trattativa con i creditori, che sono ormai essenzialmente le istituzioni internazionali: la Bce, il Fmi e gli Stati europei.

Di certo Atene appare ondivaga nei suoi comportamenti, pronta a criticare i presunti o veri disaccordi dei creditori ma anche a pagare una tranche di 200 milioni di un prestito dello stesso Fmi, dicendosi disponibile a fare le riforme ma rinviandole continuamente, riassumendo nel contempo 4000 impiegati statali mentre circolano anche ipotesi che possano profilarsi nuove voci di spesa pubblica.

Tanto sono state grandi nel 2010-12 le responsabilità della Germania e della Francia nell'aver lasciato ingigantire la crisi greca e le sue conseguenze negative su tutta l'Eurozona, tanto oggi è criticabile Atene per il suo comportamento scomposto. Il governo Tsipras, appena eletto sull'onda di un populismo acceso e di proposte politiche ed economiche difficilmente realizzabili, si è introdotto nella delicata cristalleria della costruzione comunitaria europea con passo di elefante. La Commissione e i Paesi del Nord Europa si stavano in gran parte convincendo nel 2014 delle giuste argomentazioni dei Paesi periferici e del Sud Europa che avevano fatto le riforme e che chiedevano in cambio più flessibilità e crescita.

L’Italia del governo Renzi, in particolare, si era fatta portatrice nel suo semestre di presidenza europea di questa razionale impostazione. Dopo che Atene ha iniziato la sua arrischiata partita a poker con l’Ue e i creditori internazionali, il positivo meccanismo di riavvicinamento in atto tra Nord e Sud Europa si è come inceppato. La Germania, i Paesi del Nord e l'Euro-burocrazia che in massima parte è diretta espressione del loro peso a Bruxelles sono tornati ad essere diffidenti verso il Sud. Mentre quest’ultimo fatica ora ad esprimere le sue legittime argomentazioni.

C’e' un filo interpretativo comune che lega alcuni dei recenti interventi pubblici del ministro dell’Economia italiano Pier Carlo Padoan, che molto ha fatto in tandem con il premier Renzi in Europa per restituire credibilità al nostro Paese ed ottenere margini di flessibilità sulle finanze pubbliche. Un filo che lega la Laudatio di Padoan alla Luiss in onore del Nobel Jean Tirole del 19 marzo scorso con la sua audizione in Commissione finanze e tesoro del Senato di due giorni fa e l’intervento che egli ha tenuto ieri all’Accademia dei Lincei. Il tema cruciale è quello di una nuova governance europea, tema che leggiamo qui, anche un po' semplificandolo nella nostra sintesi, su due livelli.

Innanzitutto, rispettare le regole è essenziale per creare fiducia reciproca. Ma è altrettanto essenziale che le regole siano giuste perché se sono sbagliate o non coerenti con gli scenari economici e sociali in continua evoluzione esse rischiano di pregiudicare anziché conseguire l'obiettivo che si vuole raggiungere, cioè la stabilita' e la crescita. Non una sola delle due cose è necessaria, cioè la stabilità, su cui l'enfasi del Nord Europa è stata sin qui dominante, ma tutte e due insieme. Grecia o non Grecia, è essenziale che continui il cambio di paradigma nei rapporti tra Stati membri dell'Eurozona imperniato sul vecchio binomio diffidenza-frammentazione verso il nuovo binomio fiducia-mutualizzazione.

Il cambiamento non riguarda però soltanto le grandi regole fondanti dell’Euroarea. Su queste, al più alto livello, la Commissione e i leader politici dei Paesi hanno cominciato a ragionare con maggiore apertura reciproca di idee rispetto al passato, ben comprendendo la complessità delle nuove sfide economiche che l’Uem ha di fronte (tra cui in primo luogo quella della elevata disoccupazione che la crisi ha lasciato in eredità). Tuttavia, il dialogo tra Nord e Sud Europa, tra euro-burocrazia, Bce stessa e governi nazionali riguarda, su un secondo livello, non meno importante, anche i meccanismi più operativi del funzionamento delle economie nel contesto delle regole in essere, i margini razionali di flessibilità e le misure necessarie per guarire in modo strutturale i residui focolai di crisi ed instabilità.

Un esempio emblematico della necessità di un confronto meno rigido ed asimmetrico tra euro-burocrazia e Stati nazionali è quello del rilancio del sistema bancario italiano e del problema dei prestiti non performanti che appesantisce le nostre banche. In quasi tutti gli altri maggiori Paesi europei abbiamo assistito negli ultimi anni ad imponenti bail-outdei sistemi bancari nazionali, cioè salvataggi delle banche fatti con i soldi pubblici a spese dei contribuenti.

L'Italia non lo ha fatto se non in misura quasi impercettibile. Ma sette anni di crisi hanno fiaccato il nostro sistema bancario che ora deve ristrutturarsi e ricapitalizzarsi. Il governo ha anche varato una importante riforma delle banche popolari per favorire questo processo. Un processo che l’euro-burocrazia ora deve supportare e non ostacolare con obiezioni non sempre pertinenti (come il continuo ritornello degli aiuti di Stato) e poco coerenti con quanto l’Ue stessa ha invece concesso in passato con grande manica larga ad altri Paesi.