Dopo il caso Atene/ Riequilibrare l’euro di tutti cambiando i Trattati Ue

di Stefano Cappellini
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Mercoledì 15 Luglio 2015, 00:01 - Ultimo aggiornamento: 10:26
C’è un difetto strutturale nella lettura che i falchi danno della vicenda greca. Questo difetto è traducibile nell’idea che l’Europa sia attraversata da una linea: da una parte i Paesi virtuosi, che riformano, esportano, non si indebitano e dall’altra parte i Paesi viziosi, che non riformano, importano e si indebitano oltre misura. L’ovvia conseguenza di questa visione è che i primi si sentono legittimati a sanzionare i secondi, considerati causa del loro male.



La Grecia è sull’orlo del default? Affari suoi, rispondono i falchi. I greci seguano l’esempio delle nazioni modello e ne verranno fuori, concludono. Ma questa dottrina, che ha il suo Vaticano a Berlino, è peggio che parziale: è falsa. Vorrebbe spiegare i mali dell’Unione in termini di gerarchie morali - principio già opinabile in sé - ma in realtà serve soprattutto a nascondere gli squilibri di una Unione monetaria nella quale gli svantaggi di alcuni coincidono con i vantaggi di altri.



Il caso della Germania è esemplare: il gendarme inflessibile verso le nazioni che non rispettano i parametri, o minacciano di non riuscirci, diventa distratto, anzi cieco, di fronte alle proprie violazioni: il surplus della bilancia commerciale tedesca è da anni superiore al limite consentito dai trattati. Significa che la Germania esporta da anni più di quanto dovrebbe e questo boom non casualmente coincide con l’introduzione della moneta unica, la cui governance è interamente tarata sulle ambizioni mercantiliste di Berlino.



La Germania considera gli altri Stati dell’Unione mercati da conquistare per placare la fame del suo export, salvo poi biasimare come peccato mortale il debito che di quelle merci consente l’acquisto. Un euro in tasca a un tedesco vale nominalmente quanto quello in tasca a un greco, ma in mancanza di correttivi si tratta di una tragica finzione che premia i creditori e condanna senza appello i debitori. Quando si accusa alcuni Stati di vivere al di sopra delle proprie possibilità, si omette di aggiungere che è l’euro alla tedesca a produrre naturalmente questo esito.



Dicono i difensori dello stato di cose esistente: non si può biasimare la Germania se è più brava degli altri a produrre e vendere, avendo fatto quelle riforme strutturali che altrove latitano. A questa difesa, già traballante da tempo, ha dato ieri una risposta definitiva Wolfgang Munchau sul Financial Times, ponendo una semplice domanda: perché l’Italia negli anni Novanta cresceva a buoni ritmi mentre ha smesso di farlo da quando esiste la moneta unica? Quale sarebbe la Grande Riforma che vent’anni fa trainava il Pil italiano? Non esiste, ovviamente. La verità, spiega Munchau, è che questo euro aiuta solo alcuni Paesi mentre ha tagliato le ali a tutti gli altri, e all’Italia, seconda potenza industriale del continente, più di tutti. Gli italiani condividono la valuta dei tedeschi, e con loro competono sul mercato, ma le leve di questa moneta sono nelle mani di uno solo dei contendenti. L’unico modo di sedere al club di Berlino è insomma da tedeschi di serie B.



Da questa situazione non si esce invocando il ritorno alle valute nazionali, come fanno quelle forze politiche nemiche dell’Europa (che peraltro erano tali anche prima dell’arrivo dell’euro). Ma non se ne esce nemmeno con la flebile politica delle deroghe, cioè trattando di volta in volta sforamenti più o meno grandi rispetto ai vincoli che la Ue impone. Occorre ricontrattare tutta l’architettura che regola il funzionamento politico ed economico dell’Unione, a cominciare dalle prerogative della Banca centrale europea, che governa un’area monetaria sterminata ma con poteri largamente inferiori a quelli che le Banche centrali nazionali avevano nei decenni precedenti. Tutti i trattati, ormai vecchi di tre o più lustri, vanno riscritti e aggiornati per rispondere alle urgenze che la crisi ha imposto. Se ci sarà la forza e la capacità di mettere all’ordine del giorno questa agenda, può ancora esserci futuro per l’Europa e la sua moneta. Altrimenti, non resta che sedersi e aspettare di vedere a chi toccherà il ruolo di prossima Grecia.