Grecia, il ruolo della Merkel per superare i "no" tedeschi

di Marco Fortis
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Venerdì 13 Febbraio 2015, 21:49 - Ultimo aggiornamento: 16 Febbraio, 08:52
L’accentuato ruolo diplomatico internazionale di Angela Merkel di questi giorni, in particolare sul fronte ucraino, ha spinto taluni a parlare di svolta in virtù di una cancelliera diversa, meno “riluttante” nel prendere decisioni attive e di peso sulla scena europea e mondiale - critica che le è stata spesso rivolta in passato. In altre parole, c’è chi ha intravisto nel protagonismo delle ultime ore, forse anche per la gravità e complessità del momento, una Merkel finalmente capace di assumersi responsabilità comparabili con il peso che Berlino ha nel Vecchio Continente e su scala globale. Un peso giocato non più solo con la forza dei veti, in cui la Germania è maestra, ma con la forza delle proposte e delle soluzioni.

Anche la crisi debitoria di Atene, come quella geopolitica e militare ucraina, è gravissima e complicatissima. E le dichiarazioni di ieri dei Presidenti della Commissione europea Juncker e dell’Eurogruppo Dijsselbloem, secondo i quali un accordo con la Grecia è ancora «molto lontano» e «le opzioni sono limitate», fanno capire quanto sia difficile trovare una soluzione. Il neo primo ministro greco Tsipras e il suo ministro delle finanze Varoufakis hanno affrontato le trattative sul debito pubblico con Bruxelles con un piglio sbrigativo e in taluni momenti quasi come se si trattasse di una partita a monopoli. Forse anche confidando di poter ricattare facilmente l’Europa dopo la robusta affermazione elettorale in patria.



E sperando anche negli eventuali aiuti economici extraeuropei che potrebbero venire (opportunisticamente) in soccorso di Atene un po’ da tutte le parti (dagli Usa, da Putin, dalla Cina). Abbiamo assistito ad atteggiamenti un po’ guasconi da parte di Varoufakis, con dichiarazioni incaute o talora discutibili, come quando nei giorni scorsi ha detto che anche l’Italia potrebbe fallire come la Grecia (subito seccamente rimproverato dal nostro ministro dell’Economia Padoan), o come ieri quando il ministro greco ha paragonato il comportamento della Troika alle torture della Cia.



Ma l'economia reale non è il gioco del Monopoli e le soluzioni a una crisi strutturale come quella greca non si trovano di certo con comportamenti e dichiarazioni avventate. Dopo oltre una settimana di viaggi nelle capitali europee e a Bruxelles, Tsipras e Varoufakis sono ancora in alto mare. E non solo per colpa dei veti tedeschi. La Grecia ha sofferto una recessione durissima e sotto questo profilo gli italiani non possono non sentirsi solidali con la popolazione greca più colpita. Tuttavia, i problemi vanno sempre visti dalla corretta angolazione. L'Italia vuole sicuramente meno rigore e più crescita in Europa: si è battuta molto per questo durante il semestre di presidenza europea, dunque anche per la Grecia. E continua a farlo. Però rispettando le regole dell'Europa. E chiedendone una revisione con l'atteggiamento costruttivo non di chi non riesce a mantenere i patti sottoscritti (e quindi sceglie la facile e discutibile scorciatoia di rigettarli), ma di chi ritiene che tali regole siano ormai in buona parte inadeguate. E perciò, proprio perché le rispetta, politicamente ha l'autorevolezza per pretenderne un adattamento alla nuova realtà dei tempi.

Durante la crisi, Atene ha perso ¼ del proprio Pil, la disoccupazione è salita a livelli record e i servizi sociali più essenziali, a cominciare dalla sanità, sono scesi a livelli molto bassi. Tuttavia, la colpa di ciò non è soltanto della Troika bensì anche della Grecia stessa e della sua classe politica: di decenni di sperperi di spesa pubblica e di sua cattiva allocazione; di corruzione e di evasione fiscale. In più (e in ciò sta la diversità sostanziale con l'Italia) Atene ha avuto negli anni 2000 una crescita economica sostenuta non soltanto dal debito pubblico (come l'Italia della Prima repubblica) ma anche da una forte crescita del debito privato, senza che vi fosse a fronte di ciò un adeguato risparmio. La Grecia ha poi un debito pubblico finanziato quasi totalmente da stranieri (mentre quello dell'Italia è per il 70% finanziato da residenti); e diversamente da noi ha una economia reale debole, senza abbastanza industria ed export, e con i depositi bancari sempre pronti a scappare all'estero, come sta accadendo di nuovo in questi giorni.

La Grecia, dunque, è una economia che se entrasse ora nel tunnel di una grave crisi monetaria e valutaria non soltanto rischierebbe di non recuperare mai più il Pil e i posti di lavoro che ha perso durante l'austerità ma di perderne ulteriormente, in una misura che potrebbe essere drammatica. Le promesse populiste di Tsipras in campagna elettorale gli hanno permesso di vincere. E questo è un fatto. Così come è un fatto il valore democratico del voto dei suoi concittadini. Ma ora il premier greco è come un equilibrista sul filo senza più alcuna rete di protezione. Né basta di certo la spalla di Varoufakis a tenerlo in equilibrio sull'orlo del baratro. La realtà è che la Grecia prima del voto stava ricominciando a crescere un po’ e le previsioni per il 2015 e il 2016 erano positive. Adesso, se Atene andasse verso la deriva dell'uscita dall'euro, rischierebbe di sprecare tutti i sacrifici che ha fatto e di far pagare alla propria popolazione un prezzo ancora più alto.



Anche la Germania ha le sue colpe nella crisi ellenica. Non soltanto quella di aver finanziato a mani basse con le sue banche l'indebitamento dei greci nel periodo di “vacche grasse” e poi di averli abbandonati al loro destino con l'arrivo delle “vacche magre”. Ma anche di non aver affrontato subito con tempismo e concretezza, assieme alla altrettanto incerta Francia di Sarkozy e a una Commissione europea balbettante, la crisi del debito sovrano greco quando è scoppiata nel 2011. Sicché il salvataggio di Atene poi è costato molto di più a tutti ed ha gravato anche su Paesi come l'Italia, le cui banche, diversamente da quelle tedesche e francesi, non erano esposte con la Grecia. Inoltre, se Berlino e Bruxelles avessero ascoltato l'Italia quando il nostro Paese lo scorso anno ha cominciato a parlare di più flessibilità e crescita in Europa e avessero mostrato un minimo di maggiore flessibilità cominciando proprio con la Grecia, forse il precedente Governo Samaras non sarebbe caduto (perlomeno non così presto) e oggi il ministro delle finanze tedesco Schauble non si troverebbe a scontrarsi duramente con Varoufakis: un autentico dialogo tra sordi.



Intanto ieri sono usciti i dati positivi sul Pil dei Paesi dell'Eurozona nel quarto trimestre 2014, che indicano la fine della recessione in Italia e una forte crescita in Germania e Olanda. Inoltre, le statistiche confermano la stabilità della ripresa in Spagna e Portogallo. Anche su questi dati positivi dovrebbe riflettere la (forse nuova) Merkel, meno “riluttante” ad agire per trovare soluzioni concrete, tornata da Minsk con un buon risultato provvisorio sull'Ucraina. Infatti, una escalation della crisi del debito greco e una possibile uscita di Atene dall'euro a questo punto forse non comprometterebbero irrimediabilmente il futuro della moneta unica, stante il nuovo scudo del Qe della Banca Centrale Europea voluto fortemente da Draghi. Ma sicuramente una Grexit avrebbe un costo elevatissimo per tutta l'Eurozona e la farebbe ripiombare di nuovo in recessione per la terza volta. La Germania se ne rende conto?



L'Italia, per voce del ministro Padoan, sulla crisi di Atene ha espresso ieri un cauto sentimento di “ottimismo della volontà”. L'altro ieri, sorprendendo un po' tutti, compresa la stampa tedesca, a Bruxelles Angela Merkel ha lasciato aperta la porta di un possibile compromesso sulla Grecia, smentendo in parte il suo mastino Schauble. Può darsi che prima dell'Eurogruppo di lunedì la cancelliera, che ha appena mediato con successo sull'Ucraina, si inventi qualcosa per mediare con successo anche sulla Grecia. Sarebbe il compromesso della volontà, dobbiamo sperarlo. Altrimenti per la Germania sarà l'ennesimo treno perduto in Europa. E per l'Eurozona notte fonda.