Giornalisti, poliziotti e semplici passanti I diciassette caduti nella strage di Parigi

Giornalisti, poliziotti e semplici passanti I diciassette caduti nella strage di Parigi
di Maria Lombardi
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Domenica 11 Gennaio 2015, 05:45 - Ultimo aggiornamento: 13:53

L'11 settembre di Parigi è durato tre giorni ed è lungo diciassette nomi l'elenco dei caduti. Non se ne andrà il sangue che ha sporcato i fogli di una redazione, l'asfalto di due strade, le mattonelle di un negozio e stravolto per sempre la città. E adesso si sentono tutti un po' vittime, «sono Charlie, sono ebreo, sono francese», ci si stringe intorno agli slogan e ai cartelli per sentirsi meno soli e insicuri dopo le due stragi. In nome di Allah hanno ucciso chi era stato condannato a morte ma anche chi si trovava casualmente sotto tiro, ci sono finiti pure un musulmano, un algerino, il figlio di un rabbino.

Ci poteva finire chiunque. Cabu, uno dei giornalisti assassinati nella sede del Charlie Hedbo, l'11 settembre di Parigi l'aveva disegnato quasi quindici anni fa. Nella vignetta del settimanale satirico dedicato all'attentato alle Torri Gemelle si vede un aereo che sta per piombare in un ufficio del World Trade Center, gli impiegati hanno gli occhi fissi sul pc e non se ne accorgono, l'attacco tratteggiato dalla matita nel 2011 sconvolge una mattina di indaffarata normalità, in una città distratta, e fa vittime a caso. Come è accaduto mercoledì, nella sede del settimanale di rue Nicolas-Appert.

LA REDAZIONE

Tutti al lavoro, la paura non li aveva mai realmente impauriti.

Sono le 11,30 di mercoledì, «Abbiamo ucciso Charlie Hebdo», urlano i terroristi uscendo dagli uffici dopo aver lasciato a terra 11 persone. Ma la rivista satirica non muore nemmeno sotto le raffiche di mitra che in dieci minuti cancellano la redazione. C'è la riunione, come ogni mercoledì. I terroristi entrano dopo aver minacciato la disegnatrice Corinne Rey obbligandola a digitare il codice di accesso per aprire le porte. La prima vittima è Frederic Boisseau, 42 anni, addetto alla manutenzione e portiere, si trova all'ingresso.

Poi i fratelli Kouachi vanno dritti al loro obiettivo. Il direttore Stéfane Charboinner, Charb, 47 anni. Diceva «preferisco morire in piedi che vivere in ginocchio. Non ho figli, non ho una moglie, non ho un'auto e non ho debiti». Aveva una matita ed era tutto per lui. È caduto difendendola, qualche secondo dopo Franck Brinsolaro, 49 anni, il poliziotto assegnato alla sua protezione che lascia due figli. Una sequenza di spari senza fine, i giornalisti vedono i colleghi trivellati dai colpi e sanno che toccherà a loro.

L'ALGERINO

Uno dietro l'altro, un macabro appello. George Wolinski, nato a Tunisi ottanta anni fa, un idolo per i francesi, l'Italia lo aveva conosciuto negli anni Settanta su Linus. Cabu, 76 anni, accanito antimilitarista. E ancora Bernard Verlhac, cinquantottenne, Tignous la sua firma, aveva cominciato a disegnare strisce a tredici anni. Philippe Honore, 73 anni, un fumettista storico di Charlie Hedbo, la sua illustrazione satirica è stata l'ultima twittata dalla rivista prima dell'attacco.

È lì per caso Michel Renaud, giornalista esperto di viaggi: ha un appuntamento con Cabu a cui deve restituire alcuni disegni, lo invitano a partecipare alla riunione di redazione. Ucciso anche lui. Ancora spari, i terroristi colpiscono chiunque incrociano nelle stanze, è la volta di Bernard Maris, 68 anni, noto economista keynesiano, scriveva dal 1992 una rubrica con lo pseudonimo di Oncle Bernard, era membro della Banca di Francia. L'unica donna, tra le dodici vittime, è Elsa Cayat, psicoanalista ed editorialista della rivista satirica. Non sanno i terroristi francesi di origine algerina che in nome di Allah sacrificano un algerino che aveva appena ottenuto la cittadinanza francese: Mustapha Ourrad, correttore di bozze. Nessuno conosce la sua data di nascita. Quando aveva 20 anni era migrato clandestinamente in Francia, un viaggio in nave da Algeri a Parigi. Si era iscritto alla Sorbona, amava leggere, lascia due figli. Nemmeno lui doveva essere in redazione, di solito ci andava solo il lunedì.

LA VIGILESSA

Dieci minuti che non finiscono più, almeno trenta colpi. I terroristi scendono in strada. «Allah Akbar», «Allah è il più grande», i telefonini dal tetto riprendono la fuga. Stanno per rientrare in auto, la Citroen C3 nera dove li aspetta un complice, vedono avvicinarsi un poliziotto in bicicletta lungo boulevard Richard Lenoir. Si fermano e puntano anche lui, l'agente è a terra, si volta appena e alza il braccio, come per proteggersi. Un ultimo sparo alla testa, per finirlo. È l'ultimo fotogramma di una mattina di orrore.

L'agente di quartiere è Ahmed Merabet, 42 anni, nato in Francia, musulmano, sindacalista, aveva superato l'esame per la polizia giudiziaria. Indossa una divisa anche Clarissa Jean-Philippe, 25 anni. Stava per diventare vigilessa titolare dopo 45 giorni di apprendistato. Non riesca a finirli, viene uccisa giovedì mattina dal terzo terrorista Amedy Coulibaly a Montrouge dove è intervenuta per un incidente.

I QUATTRO EBREI

Lo stesso jihadista che il giorno dopo si asserraglia intorno alle 13 in un piccolo supermercato kosher, l'Hyper Kacher, nella zona di Vincennes. È armato con una mitraglietta Skorpion, due pistole e quindici candelotti. I primi spari, le urla. Ivan, uno dei tanti clienti, ha in braccio il figlio di tre anni, si nasconde insieme ad altri nella cella frigorifera aperta dal commesso musulmano. In quattro restano a terra, tutti ebrei, due avevano poco più che 20 anni. Ecco i loro nomi: Yohav Hattab, figlio del grande rabbino di Tunisi, Philippe Braham, Yohan Cohen, François-Michel Saada. «Fammi un panino», avrebbe chiesto il terrorista al commesso, l'ultimo panino di Yohan.