Dal gas alla fuga di Kiev verso l’Ue ecco le vere ragioni della guerra

Dal gas alla fuga di Kiev verso l’Ue ecco le vere ragioni della guerra
di Giuseppe D’Amato
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Venerdì 29 Agosto 2014, 08:18 - Ultimo aggiornamento: 08:19
Gli ultimi veli sono caduti, l’ipocrisia col suo segreto di Pulcinella finita. Adesso ufficiale: i russi sono parte attiva nella guerra civile ucraina.



Dopo tante speranze per una rapida soluzione diplomatica della crisi, questo è il primo terribile risultato concreto del summit di martedì scorso a Minsk tra Vladimir Putin e Petro Poroshenko. Le vere ragioni di questo conflitto fratricida tra popoli slavi orientali sono molteplici ed essenzialmente di carattere geopolitico e storico.



CENTINAIA DI MILIARDI

L’economia, il commercio, la finanza, i diritti delle minoranze russofone all’estero, lo stesso nodo del transito del gas verso Ovest c’entrano in parte. Sono argomenti che possono nascondere anche altre motivazioni. Primo: il Cremlino non accetta oggi l’uscita dalla sua sfera di influenza delle repubbliche ex sovietiche. Secondo: il vero sogno di Vladimir Putin è quello di rioccupare i territori slavi dell’ex impero zarista, persi col crollo dell’Urss nel ’91. Terzo: senza l’Ucraina la Russia si ritrova privata del suo “cuore” storico e rigettata verso Est, verso l’Asia. Quarto: Kiev ha scelto di affrancarsi definitivamente, attratta dalle sirene del “Sogno europeo”.



Per 23 anni il Cremlino ha speso - sotto le forme più disparate - centinaia di miliardi di dollari per evitare un divorzio reale, sancito peraltro già ufficialmente nell’autunno 1991. Persino nelle ultime ore dalla sua caduta Mosca è arrivata a regalare al deposto presidente Yanukovich montagne di denaro, portate d’urgenza con voli charter.



Gli ipotetici due miliardi di euro di danni all’anno per l’associazione di Kiev all’Unione europea – denunciati da Putin a Minsk - sono noccioline rispetto alle mostruose quantità di gas “sifonate” dalle condotte federali in transito verso ovest dai soliti “sconosciuti” in Ucraina. Perché adesso la Russia scende in campo in prima persona, cambiando tattica? La ragione è semplice: i separatisti hanno perso militarmente e politicamente la partita. Sono isolati persino nelle terre che hanno tentato di sollevare contro Kiev.



IL SECONDO FRONTE

Soltanto l’intervento diretto dei soldati russi può salvare l’immagine di Putin, che a Minsk ha invitato Poroshenko a riconoscere le poche migliaia di “ribelli” come interlocutori nell’ottica di una futura Ucraina “federalizzata”, chiaramente alla mercé di Mosca. Con le elezioni anticipate, previste da Kiev per il 26 ottobre, questa soluzione non è, però, possibile. Quindi, la parola passa alle armi.



L’apertura del secondo fronte sul mare di Azov mira a creare una fascia dall’attuale confine russo fino alla Crimea, dove la realtà socio-economica potrebbe diventare esplosiva in un futuro prossimo. La penisola dipende completamente (per energia, acqua, trasporti, economia) dall’Ucraina. Ecco perché nel 1954 Nikita Chrusciov la regalò a Kiev. Il Cremlino, a cui in realtà interessava solo il porto militare di Sebastopoli, lo sta scoprendo a proprie spese. La storia insegna due cose.



La prima: se non c’è stabilità in Russia non c’è nemmeno nel Vecchio Continente. La seconda: se si innova a Kiev (Patria della Rus’, da cui è poi nata la Russia) l’onda riformatrice arriva sempre fino a Mosca. Putin sa perfettamente che il suo traballante sistema oligarco-clientelare salterà se l’Ucraina diventerà una piena democrazia europea. Perdere oggi la partita in corso significa dire definitivamente addio ad un certo tipo di Russia.
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