Furia jihadista, l’Isis distrugge le antiche statue assiro-babilonesi

di Fabio Nicolucci
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Giovedì 26 Febbraio 2015, 23:26 - Ultimo aggiornamento: 27 Febbraio, 00:51
Quasi ogni giorno, da almeno un paio d’anni oramai, se guardiamo al di là del nostro mare verso l’altra riva del Mediterraneo vediamo alte fiamme levarsi. La sensazione di incertezza e di paura che ciò produce è poi accresciuta dal fatto che non solo siamo testimoni attoniti di fatti tragici, da migrazioni che inondano il nostro mare di cadaveri al divampare di ben due guerre - nel Levante e in Libia- e alla crisi sempre più accentuata di tutti gli stati arabi.



Ma anche dal fatto che in questo scenario vediamo tra le fiamme muoversi un attore per noi sconvolgente, sia per comportamenti sia per disegno. Come non restare sgomenti di fronte alle immagini di miliziani jihadisti che distruggono a picconate statue e bassorilievi assiro-babilonesi nel museo di Mosul, dove sono custoditi reperti di Ninive, l’antica capitale dell’impero assiro?



È l’ultimo esempio di una violenza insensata e scioccante contro i simboli stessi della civiltà. L’Isis è infatti per noi così sconvolgente da attribuirgli innanzitutto una sorta di onnipotenza. Un’aura di inarrestabilità da esso cercata e che gli fa gioco nel reclutamento globale (è di ieri la conferma che John, il boia nero-vestito degli ostaggi occidentali, è effettivamente cittadino britannico, un londinese ingegnere informatico di 27 anni) che difatti sta surclassando Al Qaeda. Un attore cosi sconvolgente da far gridare subito al suo zampino nella strage parigina a Charlie Hebdo, in realtà opera di elementi dormienti di Al Qaeda. Così sconvolgente che, anche per sua bravura e natura, ogni suo gesto o proclama rimbomba tra noi. Come quello di «conquistare Roma». O quello di avere in mano la Libia, dove in realtà è ancora importato e non in grandi numeri. Proprio per questi risonanti effetti politici, è però necessario che ai politici sia fornita un’analisi puntuale di ciò che sta accadendo. Le recenti parole di Renzi sulla Libia danno per esempio almeno l’impressione che egli abbia avuto a disposizione proprio un siffatto tipo preciso di analisi. Rimane la questione della «conquista di Roma». Che cosa si intende con tale minaccia? Migliaia di pickup con le bandiere nere e carichi di tagliagole che si affacciano sul raccordo anulare della Capitale? Se fosse così, occorrerebbe concentrare in tal senso le nostre stiracchiate risorse difensive e di intelligence, per toglierle però da un altro scenario. Ma così non è. L’Isis infatti propugna una lettura dell’Islam talmente distorta da avere un’impronta medievale. Al contrario di Al-Qaeda, inserita da Bin Laden nel mondo moderno per estrarne specifiche concessioni politiche e i cui terroristi prima di tecnologici attentati si cibavano a Pizza Hut, l’Isis irride ai “moderni”. E parla in codici e allusioni che si rifanno alla tradizione del primo Islam, non ancora “contaminato”. La citazione di Roma, in questo senso, è da intendersi come Occidente, e del resto essa viene spesso insieme a quella di Costantinopoli, peraltro prima tra le due: nel messaggio su questo tema da parte del portavoce dell’Isis Al-Adnani, che dallo scorso settembre ha messo sotto i riflettori questa minaccia, si dice infatti «noi conquisteremo Roma, spezzeremo le vostre croci e faremo schiave le vostre donne». Il messaggero di Allah dice che «la città di Heraclius (imperatore d’oriente, cugino e nemico di Maometto, ndr) sarà la prima». Nel lungo messaggio, inoltre, vengono citati come altri obiettivi numerosi Paesi, tutti arabi. Ma l’Isis, malgrado la sua aderenza ai tempi medievali, ha una grande capacità di far risuonare i suoi messaggi, e non a caso la copertina della sua rivista che parla di Roma raffigura l’obelisco di Piazza San Pietro con in cima la bandiera nera dell’Isis. Così l’effetto spiazzante è assicurato. Eppure l’Isis ha una concezione “territoriale” del jihad, e al contrario di Al Qaeda prevede non solo che gestione territoriale e jihad vadano insieme, ma anche una serie di passi concreti in tal senso. In questo riprendendo la sanguinosa eredità di Al-Zarqaui (fondatore di Al-Qaeda in Iraq, progenitrice dell’Isis), che nel 2000, pochi anni prima di essere ucciso da un drone Usa prospettava una graduale “territorializzazione” in 5 fasi, dall’Hijra (emigrazione) al Califfato. Ma mentre Al-Qaeda e Al-Zauahiri sostenevano che quello fosse invece il momento della “guerriglia”, perché il controllo territoriale era ancora prematuro, Al-Zarqaui ruppe con la casa madre perché sosteneva si potesse andare avanti nel programma. Insomma, come si è poi visto nella successiva competizione anche cruenta cominciata nel 2014 tra le due organizzazioni, Al-Qaeda sosteneva una guerra di posizione con l’Occidente fondata su un’analisi più realistica dei rapporti di forza, e che quindi avesse come primo obiettivo gli infedeli (il nemico lontano), mentre Al-Zarqaui e poi l’Isis sostenevano di radicarsi e poi andare verso lo stadio finale, e quindi la necessità di colpire innanzitutto gli apostati (il nemico vicino). Questo anche per differenti origini, cioè uno di quei fattori imponderabili che spiegano, oltre alla volontà strategica, del perché nasce l’Isis: mentre infatti Al-Qaeda nasce nella tradizione settecentesca wahhabita, cioè un Islam che cerca la purezza in un contesto già islamizzato, l’Isis considera di essere nella situazione del primo Islam, con un’impronta apocalittica e millenaristica. Mentre Al-Qaeda agisce nel moderno, l’Isis lo fa ma guardando sempre al Giorno Finale. Questo Giorno Finale arriverà quando i veri combattenti musulmani, destinati a prevalere con l’aiuto di Allah, saranno sul punto di essere sconfitti.In ogni caso, l’Islam medievale dell’Isis va preso dannatamente sul serio. E non tacciato di «non essere il vero Islam», perché anche se la maggioranza dei salafiti sono quietisti, non lo sono le potenziali reclute, che però sanno bene che si tratta di precetti dentro la tradizione islamica. Tanto che le fonti utilizzate dall’Isis sono molto selezionate, essendo praticamente solo il Corano – che è recitato, e i terribili video dell’Isis sono accompagnati sempre da canti coranici, e non da suoni “terreni” come quelli di Al-Qaeda – e i due esegeti più riconosciuti, i cosiddetti “sahihain” (“i due puri”, in arabo). Tra le fiamme dell’incendio vediamo dunque un nuovo nemico. Per noi un alieno. Bene faremmo a prenderlo sul serio, cominciando una guerra su due fronti, di cui nessuno è per il momento vicino al nostro raccordo anulare: il primo, una battaglia di idee dentro e con l’Islam europeo, e poi un confronto rude per un armistizio con i contendenti di quella battaglia araba per la supremazia nel medioriente sunnita in cui l’Isis prospera; il secondo, un più deciso intervento lì dove l’Isis vuole radicarsi. Sapendo che per le cose dette prima, nella tradizionale scelta militare tra “contenimento” e “distruzione” questa volta la via obbligata, come è stato del resto nel 2003-6 per la progenitrice organizzazione di Al-Zarqaui, è per la seconda e non per la prima.