Modello Sarkò per frenare i populismi di casa nostra

di Alessandro Campi
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Domenica 29 Marzo 2015, 23:36 - Ultimo aggiornamento: 30 Marzo, 08:07
In Francia, come ha confermato il turno di ballottaggio delle elezioni dipartimentali svoltosi ieri, la destra moderata è riuscita a frenare l’ascesa, che sembrava inarrestabile, di quella radicale e populista. In Italia, rischia invece di subirne l’avanzata elettorale e di restarne prigioniera dal punto di vista dei programmi e dell’immagine. Una bella e istruttiva differenza!



La coalizione di centrodestra guidata dal redivivo Sarkozy si è imposta, si dirà, soprattutto grazie al meccanismo del doppio turno, che come già in precedenti occasioni ha oltremodo penalizzato il Fronte nazionale a dispetto del 25% dei consensi ottenuto nel primo. Quest’ultimo è un partito estraneo al “fronte repubblicano” che si è assegnato il compito - in verità un po’ troppo pretenzioso - di difendere i valori e le istituzioni della democrazia francese dall’avanzata dell’estremismo. Non ha dunque alcun potere di coalizione: vince e perde da solo. Alla fine di questa consultazione, pur rappresentando un quarto dei francesi votanti (ricordiamo infatti che l’astensionismo è stato circa del 50%) e pur essendo arrivato al ballottaggio in un cantone su due, non è riuscito ad accaparrarsi alcun Dipartimento. Alla coalizione Ump-Udi ne sono andati, secondo le diverse proiezioni, una settantina (la destra ne aveva conquistati trentanove nel 2011). I socialisti ne hanno conquistati una trentina (in precedenza ne amministravano ben sessantuno).



In realtà Sarkozy ha vinto per ragioni soprattutto politiche. Ha capitalizzato la cattiva prova al governo dei socialisti negli ultimi tre anni e il crollo di credibilità di Hollande (che certo non può immaginare di vedere risalire la sua immagine pubblica e la sua popolarità grazie alle cerimonie funebri alle quali presenzia con solenne compunzione dopo ogni tragedia). Ha stretto una solida alleanza con i centristi, con i quali in passato era stato in competizione diretta. Ma soprattutto, fedele alla tradizione gollista, ha scelto di non intrattenere alcun rapporto ufficiale di collaborazione con il partito guidato da Marine Le Pen: anche se non sono mancati, nemmeno stavolta, accordi sottobanco e scambi di voti, ma ciò fa parte del gioco della politica reale, che spesso è costretta a sacrificare i principi alle convenienze.



Ma il fatto che la destra repubblicana, nata in Francia antifascista e democratica, non faccia accordi formali e strategici con quella radicale, nostalgica di Vichy, antieuropea o incline al razzismo, non ha impedito a Sarkozy di mostrarsi sensibile agli umori di quei francesi, spesso appartenenti alle classi popolari, che nel corso degli anni hanno espresso apprezzamento per le proposte e il linguaggio del Fronte nazionale. E di fare propri alcuni dei cavalli di battaglia dei lepenisti, ad esempio in materia di immigrazione, di sicurezza e lotta al terrorismo, di difesa dell’identità nazionale e della famiglia. Ma più che un cedimento ideologico alla destra radicale, come gli è stato imputato, è stato un modo tatticamente abile per sottrargli temi e argomenti che non necessariamente debbono essere lasciati alla propaganda estremistica o considerati inutilizzabili da chi aspira alla rispettabilità pubblica.



Difendere l’identità nazionale e la memoria storica della Francia non equivale, come pensa o vuol far credere la sinistra, sognare una società etnicamente pura e senza immigrati. Significa tenere alla continuità della propria storia collettiva, il che non implica necessariamente il rifiuto del pluralismo culturale o la nostalgia di un passato nel segno dell’omogeneità dei costumi e della lingua. D’altro canto, la minaccia che la globalizzazione porta alle culture storiche e alle identità collettive non è una fobia da estremisti: è un problema sociale con il quale la politica - anche quella che si fregia dell’etichetta di moderata e responsabile - deve misurarsi. Lo stesso vale per l’immigrazione: denunciare i pericoli di quella incontrollata, anche dal punto di vista dell’ordine pubblico, non può esporre automaticamente all’accusa di xenofobia. La colpa della destra populista non risiede nei problemi che solleva, ma nelle pessime e demagogiche soluzioni che offre per risolverli.



Se la destra moderata francese vince, quella nostrana - come detto - soffre e arranca, nell’attesa di un voto amministrativo che per quest’ultima potrebbe tradursi in un vistoso arretramento. Colpa sicuramente delle divisioni interne a Forza Italia, un partito segnato ormai da personalismi esasperati. Ma colpa soprattutto di una confusione strategica e di una vaghezza di prospettive la cui responsabilità maggiore ricade per intero sulle spalle di Berlusconi, che non ha mai amato Sarkozy (e per buone ragioni, anche personali), ma che forse farebbe bene a riflettere sulle mosse che hanno consentito a quest'ultimo di tornare da protagonista sulla scena francese dopo la dura sconfitta alle presidenziali del 2012: apertura al centro e chiusura alla destra populista (pur ammiccandone alcuni temi).

In Italia, invece, lo spazio politico del centro è stato consegnato dal Cavaliere alla sinistra renziana insieme a tutti i temi di battaglia che un tempo qualificavano il moderatismo berlusconiano: dalla lotta alla burocrazia statale alla difesa dei ceti produttivi. Al tempo stesso, ci si ostina a ricercare un’alleanza politica organica con la Lega (e con la sua appendice post-fascista) proprio nel momento in cui questo mondo, trasformatosi nel pendant italiano del Fronte nazionale, si è addirittura messo in testa di prosciugare il bacino elettorale di Forza Italia. Invece di esercitare un’egemonia o un’influenza sulla destra populista, la si subisce non avendo idee da contrapporle e non avendo nemmeno la forza di sottrarle i temi che agita per riformularli diversamente.



Il Pd renziano per vincere la sua scommessa riformista ha accettato il prezzo di avere dei “nemici a sinistra” e questo l’ha tutt’altro che penalizzato sul piano dei consensi. Anzi, ne ha rafforzato il progetto politico e la credibilità proprio agli occhi degli italiani moderati. Berlusconi pensa forse di riprendersi i suoi storici elettori andando a braccetto con coloro che, oltre a non riconoscergli più alcuna leadership, le uniche idee impossibili che predicano sono l’uscita dall’euro e la chiusura delle frontiere?