Furia francese, bombe sull'Isis. Patto Obama-Putin

Furia francese, bombe sull'Isis. Patto Obama-Putin
di Alberto Gentili
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Sabato 21 Novembre 2015, 13:17 - Ultimo aggiornamento: 16 Novembre, 07:57
dal nostro inviato

ANTALYA «L'Isis va eliminato, bisogna raddoppiare gli sforzi della coalizione», arringa Barack Obama appena sbarcato in Turchia, dove annuncia l'impegno diretto degli Usa in Siria a fianco della Francia. Una svolta che si concretizza nella notte. Dodici caccia francesi, sostenuti logisticamente dall'intelligence americana, bombardano oltre venti obiettivi a Raqqa, la capitale del Califfato.



Il luogo dove sarebbero stati addestrati alcuni degli attentatori che hanno seminato la morte venerdì a Parigi e da dove al-Baghdadi avrebbe lanciato l'ordine di effettuare la strage. «La nostra vendetta sarà spietata», aveva annunciato il presidente francese François Hollande alla nazione.



Così è. Con quella che gli attivisti anti-Isis descrivono «una pioggia di fuoco», i jet francesi in una trentina di raid colpiscono il centro di comando del Califfato, una struttura di reclutamento, depositi di munizioni e un campo d'addestramento. «Sì, stiamo bombardando», conferma a notte il ministero della Difesa di Parigi. «Nessun civile tra le vittime», fanno sapere gli anti-jihadisti. Questa volta l'azione franco-americana non scatena la reazione della Russia. «Solo uno sforzo unitario dell'intera comunità internazionale potrà fermare il terrorismo», afferma Vladimir Putin che, nel lussuoso resort dove si svolge il G20, incontra a quattr'occhi per ben due volte il presidente americano.



LA RISPOSTA

La strage di Parigi, il cuore d'Europa sotto attacco, fa infatti il miracolo di spingere i Grandi a parlare la stessa lingua. Avvicina Washington e Mosca. E le avvicina fino al punto da convincere Obama e Putin a scandire un impegno comune: «L'imperativo è risolvere il conflitto in Siria». Una svolta figlia delle ferite aperte: l'aereo abbattuto sul Sinai con 224 turisti russi, i 109 morti di Ankara di qualche settimana fa, le 129 vittime di venerdì notte nella capitale francese. «Da questo summit deve arrivare una risposta forte e dura all'Isis», annota il presidente turco Recep Tayyip Erdogan aprendo il G20, un summit che doveva occuparsi di clima, crescita e controlli finanziaria. E invece finisce per parlare di «lotta al terrore».



Difficile tradurre la rabbia e la retorica dei leader in azioni comuni concrete. Le divisioni sono antiche e radicate. Eppure oggi il G20, contravvenendo alla sua mission classica limitata ad affrontare le crisi economiche e finanziarie, prova a sfornare un documento congiunto.



Nella bozza si parla di congelamento degli asset finanziari dei terroristi o dei loro fiancheggiatori e di un inasprimento delle misure di sicurezza negli aeroporti e alle frontiere. «E' indispensabile rafforzare i controlli ai confini esterni dell'Europa», sottolinea la cancelliera tedesca Angela Merkel.

Più concreto dovrebbe essere l'esito di un vertice dal format inedito. Nel pomeriggio, a summit concluso, debutterà nel resort in riva al mare di Antalya, il "Quint". Vi partecipano Stati Uniti, Francia (al posto di Hollande ci sarà il ministro degli Esteri Laurent Fabius), Germania, Gran Bretagna e, novità assoluta, l'Italia. Il segno che dopo mesi trascorsi alla finestra, Matteo Renzi intende entrare in gioco. Non con l'uso della forza o con i bombardamenti dei nostri Tornado: «Serve saggezza, buonsenso ed equilibrio, non isteria», dice in una pausa dei lavori. E confida: «Certo, il cuore va a Parigi, ma bisogna usare la testa e non la pancia. Non si devono compiere raid spot senza una strategia complessiva. Si rischia di commettere gli stessi errori che sono stati compiuti in Libia».



Piuttosto che mandare l'Italia al fronte, Renzi preferisce piuttosto spingere Putin (è previsto un bilaterale) e Obama a raggiungere un'intesa ancora più forte sulla Siria, considerata la vera palestra del terrorismo jihadista. A siglare un'intesa che migliori e implementi la bozza d'accordo siglata sabato a Vienna tra John Kerry e Serghei Lavrov. Quella che prevede l'inizio delle trattative tra Assad e i ribelli dal primo gennaio, un governo di transizione entro giugno e libere elezioni un anno dopo. Il tutto senza però aver raggiunto un accordo sul cessate il fuoco e neppure sul destino di Assad.

IL DIALOGO



Importante la svolta di Obama. Il presidente americano per la prima volta parla di «guerra» e annuncia i raid congiunti con Parigi. Soprattutto non rifiuta il dialogo con la Russia: all'inizio del summit stringe la mano e scambia qualche parola con Putin dopo il grande gelo di inizio ottobre nel faccia a faccia andato in scena nel Palazzo di Vetro dell'Onu. Poi, nel pomeriggio, a sorpresa durante una pausa-caffé vede per trenta minuti il presidente russo. Il faccia a faccia è così improvviso che viene celebrato con il solo interprete russo (un segno di fiducia di Obama per Putin) e sotto gli occhi delle telecamere che immortalano pressoché in diretta il colloquio. Poi, più tardi, la delegazione americana fa sapere che «l'incontro è andato benissimo, è stato molto costruttivo». Non solo, secondo i diplomatici statunitensi, Obama elogia le azioni russe in Siria (quelle che aveva condannato a New York) e con Putin si impegna a «risolvere il conflitto siriano».

E' la prova che il presidente americano, abbandonato il lungo torpore sull'Isis, sembra aver compreso che senza Mosca (molto attiva in Siria al contrario di Washington) non si sconfiggono gli jihadisti. E soprattutto che è indispensabile togliere sostegno e finanziamenti al Califfato.



Da qui il pressing sul Qatar e l'incontro bilaterale con Salman, il re dell'Arabia Saudita. Oltre al tentativo di rafforzare l'alleanza con un maggiore coinvolgimento dei sauditi, in modo da dare uno sprint all'offensiva contro lo Stato islamico.