NEW YORK Oramai tutta l'America manifesta, da Los Angeles a New York. L'indignazione per il verdetto del Grand Jury che lunedì sera a Ferguson, nel Missouri, ha deciso che «non c'erano sufficienti prove» per incriminare il poliziotto Darren Wilson per l'uccisione del 18enne Michael Brown, ha contagiato tutte le principali città.
Per due notti migliaia di persone si sono date appuntamento per strada.
LA FRUSTRAZIONE
Il presidente stesso ha promesso un vasto intervento nel tessuto della società attraverso appuntamenti regionali fra i corpi di polizia, i leader delle comunità e delle chiese. Il compito di aprire un dialogo che dovrebbe portare «alla costruzione di fiducia fra le varie parti» e a una «legge giusta per tutti» è affidato a Valerie Jarrett, consigliere politico della Casa Bianca. Il presidente ha fatto questo annuncio durante un comizio a Chicago, martedì sera, durante il quale aveva dedicato parole forti alla crisi del Missouri: «Il problema non è solo un problema di Ferguson, è un problema dell'America. La frustrazione è condivisa in molte comunità di colore, che sentono che la legge non è applicata allo stesso modo ed egualmente». Ma Obama ha anche condannato la violenza: «Nessuna legge, nessuna riforma è avvenuta perché era stata bruciata un'automobile o distrutto un negozio. Le leggi e i cambiamenti avvengono attraverso il voto, e l'impegno pacifico». Sempre pacato, soprattutto quando parla di problemi razziali, Obama ha anche sottolineato che la stragrande maggioranza delle manifestazioni sono effettivamente state pacifiche, ma che «le tv non se ne sono accorte».
IL GRAND JURY
Intanto più si studia la decisione del Grand Jury, più nascono dubbi. E le interviste concesse dal poliziotto hanno esacerbato la situazione. Con una voce che non tradiva nessuna emozione, Wilson ha sostenuto di aver «fatto il suo lavoro», e ha ribadito che la colpa di tutto sarebbe di Brown, che lo aveva aggredito «come un demonio». Ma ci sono contraddizioni nella sua ricostruzione: ad esempio ha detto che gli sembrava di essere «un bambino che lottava contro il Grande Hulk», ma sebbene Brown fosse più pesante (anzi, grasso), fra i due non c'era quasi differenza d'altezza: 1 metro e 95 Brown, 1 metro e 93 Wilson. Ha detto di essere stato colpito al volto con un pugno, ma sul volto gli era apparso solo un lieve rossore, non un livido. Ha detto di avergli sparato mortalmente quando oramai era a circa 6 metri, ma il corpo del nero è stato trovato a 45 metri dalla volante da cui Wilson era sceso. Ha anche sostenuto di aver visto Brown che infilava le mani sotto la cintura, e questo gli aveva fatto temere che stesse per tirare fuori una pistola, ma Brown era disarmato e neanche indossava una cintura. Queste contraddizioni potevano essere chiarite nel corso di un processo. Ma il Grand Jury ha deciso che l'istruttoria non aveva raccolto abbastanza prove per una incriminazione. E i dubbi resteranno senza risposta.