Facebook censura immagini di Maometto in Turchia su istanza di un Tribunale locale

Proteste davanti al Cumhuriyet gazetesi
di Alessandro Di Liegro
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Mercoledì 28 Gennaio 2015, 13:11 - Ultimo aggiornamento: 29 Gennaio, 16:02
Il giorno dopo la strage a Charlie Hebdo, Mark Zuckerberg levò la sua voce a favore della libertà di stampa e di opinione. In un lungo post, l'ideatore di Facebook ricordava come fosse stata emessa una fatwa contro di lui, perché il suo sito si rifiutava di eliminare contenuti ritenuti offensivi riguardanti il profeta Maometto: «Non lasceremo che nessun Paese, o gruppo di persone, decidano dittatorialmente cosa la gente possa o non possa condividere nel mondo. Non lascerò che questo accada su Facebook. Voglio costruire un servizio in cui si possa parlare liberamente senza avere paura della violenza» scriveva l'8 agosto.

Circa tre settimane dopo, Facebook ha censurato alcune immagini del profeta Maometto in Turchia, fra cui quelle che avrebbero causato l'attacco a Charlie Hebdo.



Secondo la BBC, sarebbero state bloccate un numero non specificato di pagine che “offendono il profeta Maometto”, dopo che a Palo Alto sarebbe arrivata un'ingiunzione da parte di un tribunale locale di Ankara. L'ultimo“transparency report” di Facebook, relativo ai primi sei mesi del 2014, avrebbe evidenziato come la Turchia avrebbe chiesto di censurare 1893 post in quel lasso di tempo, piazzandosi al secondo posto al Mondo come richieste di censura. Al primo posto ci sarebbe l'India con più di 4000 richieste, in Italia sarebbero soltanto tre.



Non è la prima volta che il popolare social network si trova implicato in censure di stampo politico: lo scorso dicembre, Facebook ha cancellato la pagina del principale oppositore di Putin, Alexei Navalny, dopo una richiesta giunta da moderatori vicini al governo russo. Michael Birnbaum, del Post, scrisse da Mosca di nuovi limiti alla possibilità per Facebook di diventare la piattaforma dei movimenti politici d'opposizione. Altre polemiche giunsero quando il sito oscurò le pagine legate ai dissidenti in Siria e Cina; la International Campaing for Tibet ha attivato una petizione contro la censura di Facebook che ha ora raggiunto le 20.000 firme.



Fra le vittime della censura vi è anche Molly Norris, una vignettista che nel 2010 lavorava per il Seattle Weekly. Quando i fondamentalisti scatenarono una campagna contro il cartone animato “South Park”, reo di aver rappresentato il profeta Maometto, lei decise di iniziare una controcampagna, chiamata “Everybody draw Mohammed day” (La giornata in cui tutti disegnano Maometto), il 20 di aprile del 2010.



L'imam yemenita, di origine americana, Anwar al Awlaki, emise una fatwa contro la donna, colpevole di blasfemia. Circa un mese dopo le arrivò la prima minaccia di morte, a cui ne seguirono molte, troppe altre. Su un numero del settimanale, sempre nel 2010, comparve una scritta: Molly Norris non c'è più. È finita in un programma di protezione, le hanno cambiato, nome, lavoro, vita e di lei non si hanno più notizie. Ha scelto la morte civile per non temere quella fisica. Forse Charb, l'ex direttore dello Charlie Hebdo, non sarebbe stato d'accordo con la decisione della Norris ma il risultato finale è lo stesso: una penna – e una mente - libera in meno.