L'inferno di Fabrizio, detenuto italiano in Perù. L'appello della moglie: «È malato, rischia di morire»

Fabrizio Fratini, prima e dopo il carcere
di Andrea Andrei
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Sabato 15 Novembre 2014, 21:24 - Ultimo aggiornamento: 17 Novembre, 12:11
Chiuso in una cella a migliaia di chilometri da casa, lasciato a combattere da solo, senza alcuna assistenza, contro una malattia che peggiora ogni giorno e che rischia di ucciderlo da un momento all'altro.



Fabrizio Fratini, 50enne originario della provincia di Roma, è uno degli oltre tremila italiani detenuti all'estero. È stato arrestato e condannato a Lima, in Perù, per traffico di stupefacenti, più di due anni fa. È una sorte che è toccata a tanti nostri connazionali, molti dei quali vengono incarcerati senza nemmeno uno straccio di prova. Fabrizio i suoi errori invece li ha riconosciuti, e ha accettato la pena che gli è stata inflitta dalla Corte peruviana: 5 anni e 6 mesi di carcere. Una pena inferiore a quella di 6 anni e 8 mesi che di solito viene data a chi commette quel tipo di reato in Perù.



Fratini è stato infatti riconosciuto affetto dal morbo di Crohn, una malattia intestinale estremamente complicata di cui ancora oggi si sa poco. Chi ha il morbo di Crohn è costretto a diete particolari, a cure intense e a controlli clinici costanti. A sottolinearlo è il dottor Claudio Papi, gastroenterologo responsabile dell'ambulatorio delle malattie infiammatorie intestinali dell'ospedale San Filippo Neri di Roma, che fino al 2009 ha avuto in cura Fratini: «Si tratta di una malattia che dura tutta la vita ed è potenzialmente evolutiva. Chi ne è affetto, in mancanza di cure adeguate rischia l'occlusione intestinale o la lenta perforazione dell'intestino». Perciò, ribadisce Papi, è fondamentale che il morbo di Crohn sia controllato e gestito da specialisti: «Sono necessarie cure personalizzate, un malato di Crohn non può stare cinque o sei anni senza essere controllato, altrimenti rischia una disabilità permanente se non, in casi estremi, la morte, dovuta anche alla debolezza conseguente alla malnutrizione».



Fratini soffriva già da parecchio tempo del morbo di Crohn. È stata questa una delle ragioni del tracollo che l'avrebbe portato nell'incubo in cui si trova ora. Dopo essere stato operato due volte, la sua situazione restava critica, nonostante le cure sempre più faticose a cui si sottoponeva. In un momento di totale debolezza, Fabrizio, che aveva un oreficeria in provincia di Roma, comincia a fare uso di droga. I problemi economici lo portano anche a cadere nella trappola del gioco d'azzardo. Poi, la morte improvvisa di un amico caro diventa la ragione per cui le poche macerie del suo mondo crollano definitivamente. Fratini si allontana anche dalla moglie. Ed è proprio in quel momento che prende la decisione peggiore della sua vita.



Fabrizio parte con un'amica di famiglia alla volta del Perù. Quel viaggio per lui vuol dire espiazione e riscatto per i suoi errori. Vuol dire giocarsi il tutto per tutto, l'ultima scommessa per rimettersi in sesto. Un vero e proprio viaggio della speranza, che sempre più italiani disperati tentano. Non criminali o spacciatori di professione, ma normali cittadini che hanno alle spalle storie di lavoro perso, di debiti e di mutui da pagare. Persone spesso inesperte, che attirati dalla possibilità di guadagnare fino a 20 mila euro in una volta sola finiscono in una rete pericolosissima, dalla quale si può non uscire più. I signori della droga in Perù si servono sempre più spesso di queste persone per fare i corrieri. È così che Fabrizio, il 2 marzo 2012, si ritrova all'aeroporto di Lima con 5 chili di cocaina nella valigia. Telefona alla moglie, le chiede di venirlo a prendere all'aeroporto di Fiumicino. Ma sull'aereo che avrebbe dovuto riportarlo a casa, verso una nuova vita, Fabrizio non ci è mai salito.



La polizia peruviana lo arresta, insieme alla sua compagna di viaggio. Ed è qui che inizia il calvario. Fratini viene portato nel carcere di Sarita Colonia, penitenziario di Lima che ospita centinaia di detenuti stranieri e che per molti di questi si trasforma in un inferno. Figuriamoci per chi, come lui, sta male fisicamente. Ma Fabrizio resiste, perché spera di ottenere la libertà vigilata, che per legge può essere chiesta dopo aver scontato un terzo della pena. Fratini però resta in carcere.



Il 23 settembre 2013 un gastroenterologo peruviano lo visita, rilasciando un certificato dove si afferma che Fabrizio ha bisogno di un trattamento medico urgente. Ma niente. Fabrizio tenta allora di avvalersi di una nuova legge peruviana sull'espulsione, che gli permetterebbe di tornare in Italia e curarsi. Ma anche questa pratica si perde nei meandri burocratici locali. Fratini più volte si è ritrovato nella paradossale situazione di dover rifiutare delle prestazioni mediche, perché in una situazione come la sua sottoporsi a esami invasivi effettuati da infermieri o medici non specializzati può essere letale.



Intanto sta sempre più male. Vomita la maggior parte di quello che mangia, ha continue emorragie, per giorni interi non riesce ad alzarsi dal letto. È la moglie, disperata, a lanciare l'appello: «Non so più che fare», racconta, «né più a chi rivolgermi. Vivo con il continuo terrore che mio marito possa morire da un momento all'altro. So che ha sbagliato, e anche lui lo sa. È giusto che paghi per quello che ha fatto. Per questo non chiediamo sconti di pena. Noi chiediamo solo di salvargli la vita, di non lasciarlo morire, somministrandogli delle cure adeguate, anche se so che lì in Perù non è facile trovare una struttura adatta. Intanto il tempo passa, e ogni giorno è peggio».
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