Il ministro degli Esteri, Borge Brende, ha spiegato che la decisione «non è stata facile ma bisogna considerare nel tempo i benefici per la Norvegia»
Da alcuni mesi i due Paesi hanno avviato segretamente negoziazioni che hanno avuto luogo nell’ambasciata cinese a Oslo e nel ministero degli esteri norvegese. A dare il via al nuovo corso, a fine 2013, è stato l’ex premier di centrosinistra – prossimo segretario generale della Nato – Jens Stoltenberg e il suo successore, la conservatrice Erna Solberg sta proseguendo il lavoro. Secondo indiscrezioni, Pechino, in cambio della pace avrebbe avanzato alla Norvegia una serie di condizioni tra le quali quella di non conferire più nessun riconoscimento ad alcun dissidente cinese.
L’arrivo, a maggio, del Dalai Lama a Oslo sarà la prova del fuoco. Se il leader spirituale tibetano sarà fatto accomodare dalla porta posteriore, senza onori e senza tappeto rosso, allora per le imprese norvegesi la strada verso il mercato cinese sarà sgombra di ostacoli. E dalle parole del ministro Brende già si capisce che le richieste di Pechino sono cosa fatta: «Siamo consapevoli – ha detto Brende – che se le autorità del nostro Paese riceveranno il Dalai Lama, sarà più complicato normalizzare le nostre relazioni con la Cina che per noi, in questo momento, è l’obiettivo primario».
Sulla stessa lunghezza d’onda il presidente del Parlamento Olemic Thommessen, seconda autorità del Paese dopo il Re Harald, che ha detto pubblicamente che non riceverà il Dalai Lama.
Increduli e sconcertati i norvegesi: il 60% di loro ritiene che il Dalai Lama andrebbe ricevuto e di questi il 50% accusa di codardia il governo. Solo il 20% appoggia invece la svolta affaristica di Oslo.