Scelto Corbyn, così va in fumo l’eredità Blair

di Giuliano da Empoli
4 Minuti di Lettura
Domenica 13 Settembre 2015, 00:03 - Ultimo aggiornamento: 00:04
Dopo la sconfitta del Labour alle elezioni di maggio, tutti si aspettavano la rivincita di Blair e dei modernizzatori del partito. Invece è successo il contrario. Ieri il partito laburista inglese ha eletto alla sua testa Jeremy Corbyn, il leader più estremo che ci sia. Marxista non pentito, vuole l’uscita della Gran Bretagna dalla Nato e la ri-nazionalizzazione delle grandi imprese. Ma anche tasse più alte e una politica mediorientale in supporto dei suoi amici di Hamas.

Erano anni che un personaggio così radicale non approdava alla guida di un grande partito della sinistra europea. Anni che non si sentivano echeggiare gli slogan vetero-socialisti che hanno scandito la marcia trionfale del deputato di Islington.

Ora il tema è capire come sia potuto accadere e la domanda non riguarda solo la sinistra inglese. Corbyn va preso sul serio soprattutto dagli esponenti della sinistra moderata, perché la sua vittoria schiacciante si fonda sul rigetto, da parte di un’ampia fascia dell’opinione progressista, di due aspetti centrali del metodo Blair: lo spin e le politiche di mercato. Il primo è un aspetto formale: per spin si intende la capacità di gestire e manipolare le informazioni a fini propagandistici da parte un singolo o di una squadra di professionisti della comunicazione detti, per l'appunto, spin-doctors.



Il New Labour di Tony Blair non l’ha certamente inventato, ma ha portato lo spin a livelli che non si erano mai visti da questo lato dell’Oceano. Importando le migliori tecniche americane e aggiungendoci qualche pezzo in più, Blair e i suoi leggendari collaboratori hanno fatto della comunicazione un ingrediente decisivo del loro successo, riuscendo di fatto a dominare l’agenda dei media britannici per molti anni. Questo gli ha permesso di governare con maggiore efficacia, conservando il consenso dell’opinione pubblica fino al record inaudito di tre elezioni politiche vinte una dopo l’altra.

Con il passare del tempo, però, l’esercizio ha finito col mostrare la corda. Gli spin-doctor sono diventati un po' troppo famosi, protagonisti non solo di libri, ma addirittura di film e di serie tv. Messe al servizio di una causa sempre più impopolare - la guerra in Iraq - le arti magiche dello spin hanno cominciato ad essere percepite come un nefasto sortilegio, del quale liberarsi ad ogni costo. Con le sue giacche di velluto sformate, l'ufficio stampa fai da te e le doti oratorie tutt’altro che travolgenti, Corbyn è stato percepito come l’anti-spin per eccellenza. Il dilettantismo della sua campagna elettorale è apparso come un segno di sincerità rinfrescante in un mondo dominato dall’ambiguità e dal doppio linguaggio.

Nulla lascia pensare che Corbyn abbia le qualità per governare, ma per lo meno non sembra possedere quelle che servono a manipolare. E poi ci sono i contenuti della proposta politica. Il blairismo si è fondato, fin dall'inizio, sull'accettazione delle dinamiche di mercato e sul tentativo di metterle al servizio del progresso sociale. I numeri dimostrano che, tra il 1997 e il 2007, l'esperimento è pienamente riuscito. Due milioni e mezzo di nuovi posti di lavoro, miglioramenti significativi (e misurabili) nell'educazione e nella sanità pubblica, riduzione della povertà infantile, introduzione del salario minimo: sono questi i risultati sui quali, al di là dello spin, si è fondata la popolarità del governo di Tony Blair. Da allora, però, c'è stata la crisi del 2008. A partire da quel momento, è diventato sempre più difficile ignorare un dato che gli osservatori segnalavano già da molti anni.

Dopo una lunga fase storica nel corso del quale il ceto medio si è sviluppato in tutti i Paesi occidentali e le diseguaglianze sono andate riducendosi, la tendenza si è vistosamente invertita. Oggi, in Gran Bretagna come altrove, il divario tra i più ricchi e i più poveri si accresce di anno in anno e il ceto medio fa sempre più fatica a non essere trascinato verso il basso. Su questo, il blairismo sembra avere poco da dire: qualche intervento correttivo, ma nulla che possa fondamentalmente rovesciare la situazione. Peggio ancora, il culto del successo e dell'iniziativa privata che ha contraddistinto l'approccio di Blair - e che appariva liberatorio e carico di promesse in tempi di crescita economica, produce oggi l'impressione di una prova d'indifferenza. Come se le cose, tutto sommato, ai blairiani stessero bene così.

Corbyn, al contrario, si proclama insoddisfatto. Il suo programma sembra una caricatura malriuscita di tutte le utopie gosciste degli anni Settanta e non ha la minima possibilità di essere realizzato, ma offre l'illusione di un cambiamento. Un sentimento che i blairiani hanno cessato d'incarnare in Gran Bretagna e che la sinistra moderata fa sempre più fatica a rappresentare in tutta Europa, con il rischio molto concreto di ritrovarsi schiacciata tra il centrodestra pragmatico delle Merkel e dei Cameron e la sinistra lirica dei Podemos e dei Corbyn.