Il coraggio di Yoenmi Park, la ventenne in esilio che lotta per portare i diritti civili in Corea del Nord

Il coraggio di Yoenmi Park, la ventenne in esilio che lotta per portare i diritti civili in Corea del Nord
di Antonio Bonanata
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Sabato 6 Dicembre 2014, 14:20 - Ultimo aggiornamento: 7 Dicembre, 18:49
​Sta diventando il simbolo di una lotta, la voce del dissenso di un paese che apparentemente ne è privo: Yeonmi Park è un’attivista di 21 anni che si batte per l’affermazione dei diritti nel suo paese, la Corea del Nord dello spietato Kim Jong-un Forse, però, più che lo stesso dittatore, è il sistema che opera intorno a lui ad avere le caratteristiche di un vero regime del terrore: oppositori dati in pasto ai cani, esecuzioni all’ordine del giorno, censura su internet, campi di concentramento, la vita di milioni di persone regolata secondo ritmi da caserma. Realtà inquietanti per quello che Human Rights Watch ha definito “uno dei popoli più brutalizzati del mondo”.



Ma in tanto buio la luce di Yeonmi Park sembra essersi accesa: la giovane militante vive da 12 anni a Seoul, la capitale della confinante Corea del Sud, ad appena 60 km dalla frontiera con il paese d’origine; qui, a nove anni, assistette all’esecuzione della madre della sua migliore amica. La colpa della donna era stata quella di aver visto film prodotti in Corea del Sud e di averli fatti circolare tra alcuni amici. Yeonmi al momento della fucilazione si coprì il volto con le mani ma fece appena in tempo a vedere un’esplosione di sangue e il corpo della donna crollare a terra. «È stata la prima volta che ho avuto davvero paura» ha raccontato prima di un recente dibattito, a Seoul.



La giovane militante è solo una delle decine di migliaia di nordcoreani fuggiti dalla repressione del regime di Kim Jong-un. Mostrare al mondo ciò che si nasconde a Pyongyang è la sua missione, il suo impegno: vuole far conoscere quello che in molti ancora non sanno ma che è stato reso noto da alcuni rapporti ufficiali. Yeonmi usa la tv e i social network per veicolare il suo messaggio, denunciando le sistematiche violazioni di diritti umani che si compiono nel suo paese; in ottobre ha partecipato al “One Young World Summit”, dove ha potuto confrontarsi con personalità come Kofi Annan, Bob Gedolf e l’ex presidente messicano Vicente Fox.



Nata nella città fluviale di Hyesan, lungo la frontiera con la Cina, Yeonmi è figlia di un funzionario di media categoria, membro del Partito dei lavoratori di Kim Jong-un. Condannato a 17 anni di carcere per vendita illegale di oro, argento e nichel, il padre di Yeonmi è stato torturato, bastonato e privato di acqua e cibo. «Lo trattavano come un animale» racconta la figlia, «era il mio eroe e il suo paese non faceva altro che picchiarlo. Non riuscivo a crederci». Grazie alla corruzione dei funzionari pubblici (altra piaga del paese), il padre di Yeonmi è riuscito a uscire di prigione, ma ormai era completamente debilitato e con un cancro in corso.



E' stato più fortunato di altri nordcoreani, rinchiusi in campi di concentramento in stile sovietico, da cui spesso non tornano più: almeno 120mila prigionieri politici, compresi bambini, si trovano attualmente in campi di lavoro segreti presenti in tutto il paese. All’inizio dell’anno una approfondita relazione a cura dell’Onu ha descritto le atrocità commesse dal regime come “sorprendentemente simili” a quelle di cui furono protagonisti i nazisti durante la Seconda guerra mondiale: aborti forzati, fame, violenze di ogni genere, esecuzioni.



Dall’Italia la Corea è lontana e forse per questo i racconti di chi l’ha recentemente visitata, tra cui il segretario della Lega nord Matteo Salvini e il senatore di Forza Italia Antonio Razzi, non corrispondono esattamente a quanto denunciato dai più autorevoli organismi internazionali. Più di una persona, compresa la madre, ha cercato di distogliere Yeonmi dal suo proposito. Ma lei insiste: crede che quanti, come lei e la sua famiglia, hanno sofferto così tanto, abbiano un obbligo morale nei confronti di chi si trova in condizioni simili. E, proseguendo la sua battaglia, sogna di poter tornare nel suo paese, per seppellire le ceneri di suo padre in una Corea del Nord libera: «È il mio sogno. Difficile immaginare quando arriverà quel giorno, ma forse mia figlia o mio figlio ci riusciranno. Kim Jong-un pensa di poter continuare a governare come un re eterno. Ma niente è per sempre».
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