Charlie Hebdo, 12 morti. Il racconto dell'assalto jihadista

Charlie Hebdo, 12 morti. Il racconto dell'assalto jihadista
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Giovedì 8 Gennaio 2015, 05:25 - Ultimo aggiornamento: 09:39
dal nostro inviato

Nino Cirillo
PARIGI Una notte a caccia di quei tre uomini neri che hanno ferito a morte una città, una nazione, un'intera civiltà. Secondo alcuni siti francesi sarebbero stati già fermati, a Reims: due franco algerini e un «senza tetto», sarebbero stati loro ad aprire il fuoco in una fredda mattina di gennaio per una mattanza programmata, fin troppo chirurgica, fin troppo simbolica. Ma dalla polizia francese non arriva ancora nessuna conferma.





Hanno scelto Charlie Hebdo, una rivista storica, che della satira ha fatto negli anni un vessillo, che a più riprese, negli ultimi tempi, aveva preso di petto senza nessun timore proprio i temi dell'islamismo più radicale e più oscuro. L'hanno fatto in un giorno speciale, nel giorno della riunione settimanale di redazione e nel giorno in cui in tutta la Francia usciva il libro «Sottomissione», l'ultima opera di Houellebecq, in cui si immagina che entro qualche anno la Francia possa avere un presidente islamico.



ARMATI DI KALASHNIKOV

Niente per caso, quindi, neanche l'orrore. Hanno approfittato di Coco, una delle disegnatrici più conosciute, l'hanno avvicinata in due mentre aveva una bambina per mano, sua figlia, e l'hanno costretta ad aprire il portone del palazzo, digitando il codice che di solito si usa in tutti i palazzi di Parigi, e soprattutto lì, in rue Nicolas Appert, una strada dell'Undicesimo benestante e di sinistra, l'arrondissement del Père Lachaise, il cimitero dei vip.



Sono entrati minacciando violentemente quella donna, armati di khalasnikov, e hanno fatto una strage: dodici morti, undici feriti, cinque sono gravissimi. Fra quei dodici morti c'è il direttore di Charlie Hebdo, Stéphane Charbonnier, ma ci sono anche Jean Cabut e Georges Wolinski, tutte le matite di punta di Charlie. Soprattutto Wolinski, conosciuto molto anche in Italia per aver collaborato con il Male.



Una strage, come avrebbero documentati gli scampati, come avrebbe testimoniato il video girato dai tetti da Michel Bodout, che fissa due dei tre uomini neri mentre si allontanano, mentre uno di loro uccide a freddo un poiziotto già finito per terra. Lui e un altro agente erano lì a protezione del direttore, perché le minacce andavano avanti ormai da mesi, sempre più precise, sempre più serie, al punto che Carbonier aveva profeticamente avvertito gli amici: «Aspettate per farci gli auguri, c'è tempo tutto gennaio».



Otto i giornalisti uccisi, il prezzo più alto che la categoria abbia pagato mai in un colpo solo, e due i poliziotti appunto: gli altri due morti sono un invitato speciale a quella riunione di redazione e il portiere dello stabile. L'impronta è inequivocabile, purtroppo.



CHIAMATI PER NOME

Li hanno sentiti gridare «Allah è grande», li hanno sentiti ancora annunciare: «Vendicheremo il Profeta», in un francese che ai testimoni è sembrato perfetto, senza particolari inflessioni, senza nessuna concessione al dialetto. Hanno programmato e portato a termine la strage in neanche cinque minuti.

Ci sarà solo da scoprire, nel corso delle indagini, come potessero conoscere così bene quelle stanze al secondo piano e soprattutto quei giornalisti, fino a chiamarli per nome a uno a uno, prima di abbatterli come birilli. Neppure quest'atrocità si sono risparmiata.



Coco con la sua bambina è riuscita a salvarsi riparando sotto una scrivania per quei cinque lunghissimi minuti. E' accaduto tutto fra le undici e mezza e le undici e trentancinque. Ad aspettare i due sicari, proprio all'ingresso, c'era una Citroen nera con i vetri oscurati, e il terzo del commando alla guida. Nei video girati dai giornalisti di Charlie scampati alla strage si nota bene una scarpa da ginnastica proprio accanto alla portiera, la scarpa che uno dei killer raccoglierà prima di fuggire.



È l'inizio di una folle corsa. L'allarme è appena scattato e loro sono già a Porte de Pantin, direzione nord, fuori Parigi. Hanno investito e ferito gravemente un pedone -lo ricovereranno in ospedale in fin di vita -, sono stati costretti a ricorrere a un'altra macchina, una Renault Clio nera presa all'angolo di una strada. Al povero proprietario hanno fatto una specie di rivendicazione: «Dillo a tutti che siamo Al Qaeda dello Yemen». E con quell'auto sono spariti.



La Francia intera è sconvolta. In tv e su Internet campeggiano quei volti sorridenti, si raccontano le storie delle loro battaglie, la storia stessa del giornale che affonda negli anni '70, tutti in Francia ancora ricordano una memorabile vignetta sulla tomba di De Gaulle.



MIGLIAIA IN PIAZZA

Il presidente Hollande si precipita sul posto, la gente comune decide di uscire di casa perché un affronto così alla liberta di espressione non si può sopportare. Alla fine si riverseranno a migliaia alla République, con tante matite alzate, proprio per ricordare quei giornalisti, quei disegnatori. È la più triste delle sere, la sera in cui la Francia decide di non arrendersi al terrorismo islamico.



L'allarme si estende all'Europa intera, ma la polizia francese segue subito una sua traccia precisa, che porta a Reims, dritta a quel terzetto. La notte che arriva è una notte di voci che si rincorrono: il sito di Libération poco prima della mezzanotte dà praticamente per certo che siano stati fermati. Proprio loro, proprio i macellai di rue Nicolas Appert. Ma la polizia non si decide a confermare. Sarebbero giovanissimi, due imparentati fra loro, forse fratelli. Sono stati sicuramente «localizzati» e poi identificati. Ma la conferma non arriva, il ministero dell'Interno resta prudente, la caccia continua.