Cade il mito degli studenti cinesi: 3 mila rispediti a casa dagli atenei Usa

di Anna Guaita
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Sabato 30 Maggio 2015, 20:42 - Ultimo aggiornamento: 1 Giugno, 11:42
NEW YORK – Voti bassi, assenteismo, disonestà. Sono i tre peccati capitali che le università americane non perdonano. Se ne stanno rendendo conto gli studenti cinesi, che vengono invitati in numero crescente a tornarsene a casa. Secondo un calcolo condotto dall società di consulenza universitaria WholeRen Education, che si occupa proprio dei ragazzi provenienti dalla Cina, dal 2012 a oggi circa 3 mila ragazzi hanno dovuto chiudere i libri e far ritorno a casa.



Il 58 per cento di questo drapello di sconfitti è stato espulso perchè non riusciva a mantenere il minimo dei voti necessario alla frequenza. Il 23 per cento è stato accusato di disonestà (per esempio di aver copiato un saggio da internet), e un 10 per cento è caduto per colpa dell’assenteismo (la frequenza ei corsi è obbligatoria).



Intendiamoci, non stiamo parlando di un esodo di grandi masse di studenti. Se si tiene conto che oggi ci sono negli Usa 1 milione e 200 mila giovani stranieri, e di questi ben 331 mila sono cinesi, si capisce che 3 mila espulsi non costituiscono neanche l’uno per cento del totale. Tuttavia il fenomeno è signifcativo per varie ragioni. Fino a qualche anno fa era convinzione diffusa che gli studenti dell’Asia – cinesi, sudcoreani, giapponesi, indiani – fossero sempre i migliori. Anzi alcune università hanno dovuto ideare proprio per loro dei test di ammissione più difficili onde evitare di ritrovarsi con un campus popolato da facce solo asiatiche.



La scorsa settimana nientedimeno che Harvard si è trovata al centro di una denuncia per discriminazione: un gruppo di ragazzi americani di orgine cinese, indiana e sudcoreana protesta perché l’augusta università, riconosciuta come la migliore degli Stati Uniti, renderebbe loro l’ammissione più difficile.



Ma con i giovani cinesi è avvenuto qualcosa di diverso: se prima arrivavano quelli già laureati, cioé la crema della crema, ragazzi adulti che cercavano un PhD, un dottorato che li qualificasse ai massimi livelli della scienza e dell’economia mondiale, oggi arrivano anche ragazzi al primo anno d’università, appena usciti dai licei. E alla prova dei fatti alcuni si rivelano non sufficientemente preparati: non solo non parlano bene la lingua, ma sono troppo giovani per capire il rigido codice etico e di studio applicato nei migliori atenei Usa. Molte università aprono proprio per loro dei corsi di sostegno per la lingua e talvolta anche per la cultura generale. Ma evidentemente, tremila non ce l’hanno fatta. Se non sono una massa, sono comunque un numero sufficiente per intaccare il mito che i ragazzi dell’estremo Oriente siano sempre i migliori.



I genitori cinesi sono spesso convinti che una laurea negli Usa sia la strada sicura per il successo, e sono pronti a spendere cifre pazzesche perché i figli ne possano godere. E talvolta sono arrivati a falsificarne la documentazione scolastica, pur di vederli accettati in un campus a stelle e strisce. E il numero delle richieste cresce continuamente, in misura direttamente proporzionale con il crescere della ricchezza in Cina.



Bisogna però anche ammettere che a loro volta le università americane, schiacciate da bilanci sempre più pesanti, hanno le loro colpe, perché hanno cessato di fare resistenza davanti ai ragazzi freschi di liceo, e non sempre fanno i controlli che si usavano una volta. Li accettano, e a braccia aperte, sapendo che pagheranno in pieno la costosa retta (non ci sono facilitazioni economiche per li stranieri), e quindi aiuteranno le loro casse in sofferenza.