Boko Haram, i terroristi islamici che inneggiano alla pulizia etnica

I miliziani di Boko Haram in azione nel Borno
di Lorenzo De Cicco
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Venerdì 9 Gennaio 2015, 17:06 - Ultimo aggiornamento: 10 Gennaio, 14:53

Quando parli di Boko Haram nelle strade di Lagos ti rispondono “Ariwá”, che significa “Nord”. Un modo per dire che gli attacchi terroristici, i rapimenti, gli stupri di gruppo, sono lontani migliaia di chilometri dalla “città dei Tre vecchi”, il cuore economico e commerciale della Nigeria. Perché in questo paese grande tre volte l'Italia nel quale vivono oltre 160 milioni di abitanti, ognuno dei 36 stati è un mondo a parte. Le strade sabbiose di Oyo, i quartieri residenziali di Ibadan, le due facce della capitale, Abuja, dai grattacieli alle baracche. E poi, appunto c'è il Boko Haram, che nasce nel Borno, lo stato più a nord-est del paese, ormai quasi totalmente in mano ai jihadisti, e che continua a espandersi nelle altre regioni settentrionali, quelle dove da vent'anni vige la Shari'a, la legge islamica.

Un'avanzata del terrore, fatta di bombe piazzate alle fermate dei bus o nelle scuole, con oltre 6mila vittime calcolate solo negli ultimi 4 anni e decine di migliaia di rifugiati, cristiani costretti a spostarsi o a espatriare.

Soltanto ieri in più di 7mila hanno attraversato le frontiere per cercare rifugio in Ciad.

PULIZIA ETNICA

Vittime che fanno meno rumore di quelle dell'Isis o di Al Qaeda, perché il Boko Haram non colpisce quasi mai sedi internazionali. È un movimento jihadista atipico, che concentra la propria ferocia in una guerra tutta interna alla Nigeria. «L'obiettivo è arrivare alla pulizia etnica», secondo Ali Almin Mazrui, direttore del centro degli studi culturali di Binghamton.

LE DISEGUAGLIANZE

Perché il più popoloso stato dell'Africa - e anche il più rapido nello sviluppo, tanto da essere stato inserito nel gruppo dei “Mint”, i nuovi mercati emergenti – è spaccato in tre tribù: gli Hausa, musulmani, che abitano a Nord, gli Igbos cristiani, che occupano la parte Est del paese e gli Yoruba, metà cristiani e metà islamici, che vivono a Ovest. Ma il volto della Nigeria è anche quello di un paese spaccato a metà, tra il Sud delle città degli affari e dell'economia in crescita e il Nord più povero e degradato, dove due terzi della popolazione vive con meno di 1 dollaro al giorno.

AL QAEDA

A fare da detonatore al movimento terrorista sono state soprattutto le differenze economiche, più ancora di quelle etniche e religiose. Secondo l'osservatorio di Human Rights proprio «il malessere sociale nei confronti della povertà e di una classe politica corrotta» ha permesso al fondatore di Boko Haram, Mohammed Yusuf, di arruolare decine di giovani e disoccupati dai primi anni del 2000. Un movimento che inizialmente ha provato solo a colmare il vuoto politico lasciato dai vecchi partiti islamisti e che ha sterzato verso la Jihad dopo la morte di Yusuf nel 2009 e la successione di Abubakar Shekau. È con lui che arriva il sostegno di Al Qaeda. «Oggi molti combattenti arrivano dal Mali e dal Niger, proprio dopo l'alleanza con Al Qaeda», spiega Patrick Tor Alumuku, dell’arcidiocesi di Abuja.

IL NEMICO OCCIDENTALE

Ma l'appoggio del movimento di Al-Zawahiri non ha cambiato la strategia terroristica della setta nigeriana. Con oltre 10mila miliziani che nel tempo sono diventati più potenti e organizzati dell'esercito federale, che con poche munizioni, negli scontri diretti, è spesso costretto alla ritirata, l'obiettivo è e resta quello di una guerra intestina per trasformare il Nord in un Califfato trapiantato nel cuore dell'Africa. Non è un caso che tutti gli adepti di Yusuf parlino arabo tra loro e impongano la lingua di Maometto ai territori conquistati. Non è un caso che la base culturale dei jihadisti nigeriani sia in realtà soprattutto una forma di “anti-cultura”, una presa di distanza dai costumi europei e americani. A partire proprio dal nome, Boko Haram, che significa «l'educazione occidentale è peccato». E così si spiegano le scuole trasformate in pozzi di sangue dalle bombe o le 200 studentesse rapite ad aprile e mai riconsegnate nonostante le mobilitazioni di #BringBackOurGirls.

IL PETROLIO

Dietro a Boko Haram c'è anche la voglia di mettere le mani sul petrolio. Perché la Nigeria è il primo produttore di greggio al mondo, che fornisce il 20% del Pil, il 95% delle esportazioni e il 65% delle entrate governative. Una ricchezza naturale immensa che ha trasformato il paese nella prima economia africana. Un tesoro che però si perde nei meandri di una corruzione diffusa in ogni settore, dal presidente Goodluck Jonathan, accusato dall'opposizione di tangenti, al funzionario dell'aeroporto che ti chiede 80 dollari per farti passare ai controlli. È in questo contesto che l'ideologia della purificazione dei fondamentalisti del Boko Haram dilaga e, ogni giorno, arruola nuovi adepti.

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